Trama:
Felice Benuzzi nato a Vienna nel 1910 e cresciuto a Trieste, sin da
giovanissimo si dedicò allalpinismo nelle Alpi Giulie
(con Emilio Comici), nelle Dolomiti e nelle Alpi Occidentali.
Laureatosi in giurisprudenza a Roma nel 1934, entrò nel ministero
dellAfrica.
Destinato ad Adis Abeba, fu fatto prigioniero dalle truppe inglesi nel
1941 e avviato ai campi di prigionia del Kenya, allora sotto il
protettorato inglese.
Nel 1943, quando era relegato nel campo di prigionia -354 POW Camp-
nei pressi del paesino di Nanyuki e dellomonimo fiume, si accorse di
trovarsi di fronte al massiccio del Kenya (sul versante nord-ovest del
massiccio) e incominciarono a nascere in lui idee di "fuga".
Non verso il Mozambico portoghese, unico paese neutrale confinante ma
lontano più di mille miglia, ma verso la montagna per effettuare
lascensione alla vetta più alta: la Punta Batian (m. 5195) per poi
ritornare in prigionia, consapevole di rischiare, se non di essere
ucciso da qualche cecchino o dalle guardie della prigione, almeno
28 giorni di punizione "dura", relegato in un puzzolente loculo.
Una pazzia! Ma anche un anelito di libertà e il desiderio di
dimostrare di essere ancora uomini che possiedono dignità e volontà.
Nonostante le antipatie di molti prigionieri e la difficoltà di
mantenere il segreto, Benuzzi trovò due compagni adeguati alla
bisogna e abbastanza pazzi come lui e si dedicò alla preparazione
delle attrezzature per larrampicata (ramponi, piccozze, asce),
dellabbigliamento ed equipaggiamento (giubbotti, ghette, tenda,
ecc..) e delle razioni alimentari; il tutto di nascosto e con
laiuto di pochi fidati compagni di prigionia.
Otto mesi di febbrile preparazione, cercando informazioni utili
sul loro monte dovunque, persino sullinvolucro di scatole di
fagioli e carne, e producendo schizzi del versante del M.Kenya visibile dal
campo con innumerevoli sguardi alla montagna con un binocolo,
nascosto in un angolo dellufficio del direttore del campo che
offriva la miglior visuale.
Sono stati 17 giorni di fuga con cibo per 10, raccontati con
emozione e con passione da Benuzzi che non centra lobiettivo "massimo"
del Batian anche se ha affrontato una dura e rischiosa salita,
effettuata con lamico Giuàn, fino a oltre i 4910 m. della
Punta Dutton lungo la cresta nord-ovest.
Benuzzi e il compagno conquistano però la loro "meta minore":
la Punta Lenana (m. 4968) dove issano la bandiera italiana e lasciano
un messaggio con i loro 3 nomi e le firme in una bottiglia.
Bandiera e bottiglia trovate e raccolte da una spedizione inglese
solo dopo appena una settimana di libero sventolìo della bandiera
sulla cima.
Oggi questi reperti, sembrano essere ritornati in italia, dopo molte
vicissitudini.
La loro storia inizia dal loro ritrovamento sulla Punta Lenana
da una spedizione inglese in cui cera il farmacista fotografo
E. Robson di Nairobi che fotografò la scena e che inviò le
foto e le documentazioni all"East African Standard",
il quale li pubblicò il 20 febbraio 1943.
Da Nairobi la storia venne telegrafata a Londra, dove
"The Times" la pubblicò il 23 febbraio 1943, causando
grande clamore ed imbarazzo soprattutto in Inghilterra tra gli alti livelli
della burocrazia e dei militari, ma con molta simpatia e rispetto tra il
comandante e i militari di guardia a Nanyuki, e anche in molti altri campi
di prigionia, dove la notizia si diffuse rapidamente.
La bandiera di Punta Lenana e gli altri reperti furono recuperati e custoditi
nella sede del "Mountain Club of East Africa", poi divenuto
"Mountain Club of Kenya".
Nel 1948 i reperti furono donati al "Club Alpino Italiano"
di Milano, con lintenzione di restituirli alla famiglia Benuzzi.
Si parlò anche di donarli al Museo della Montagna di Torino,
per una loro adeguata conservazione.
Di fatto non sono mai stati recapitati e ritrovati e, ad oggi,
non si sa che fine abbiano fatto.
Solo la famiglia di Benuzzi, in particolare la moglie Stefania, è
in possesso di unaltra piccola parte di attrezzature usate dal marito,
come piccoli pezzi della corda utilizzata nellascensione, preparata
con le fibre di "sisal" della branda di prigionia, ecc..
Subito dopo la guerra, nel 1948, Benuzzi entrò nella carriera
diplomatica ed ebbe incarichi in tutti i continenti, assumendo infine la
carica di ambasciatore a Montevideo in Uruguay.
Se ne è andato nel 1988, lasciando la moglie Stefania, le
due figlie Daniela, Silvia e un rimpianto non solo in tutti
coloro che lhanno conosciuto di persona, ma anche in quanti ne hanno
solo sentito parlare.
Chi ha avuto la fortuna di partecipare alla presentazione della
nuova edizione del libro, nel novembre 2001, presso la sala
dello Stenditoio nel complesso di S. Michele a Ripa a Roma, durante
le manifestazioni di "Montagne in Città", ha potuto assistere
(come il sottoscritto) ad una emozionante ricostruzione di tutto
litinerario effettuato da Benuzzi, ripercorso recentemente da un
gruppo di alpinisti italiani e presentato dallo
scrittore-giornalista-alpinista Antonio Cederna che era affiancato
dalla figlia di Benuzzi e dalla giornalista Mirella Tenderini,
curatrice della collana "Le Tracce" del CDA.
Commento:
Dopo 5 edizioni italiane (1947 - 1967 - 1991 - 2001, le ultime due del
CDA, e 2012 con la pubblicazione del Corbaccio) e ben 25 edizioni straniere,
questo libro, con oltre 60 anni di storia alle spalle, mantiene sempre
la sua freschezza e un inossidabile successo di critica e di pubblico.
Non solo perchè questo volume parla di -montagna- ma soprattutto
perchè esso racconta unavventura intensamente voluta, unimpresa
che ha il sapore della ricerca della libertà e che è anche riscatto
umano, volontà di vivere e di amare lesistenza a dispetto della
condizione di ristrettezza in cui si trova un prigioniero.
E non è un caso se lopera del -prigioniero degli inglesi-,
scritta in inglese in prima edizione, il 10 luglio 1946, quando ancora Benuzzi,
in attesa del rimpatrio, era rinchiuso nel campo POW 336 di Gilgil (Kenya),
sia stata adottata come libro di lettura in alcune scuole anglosassoni.
Ciò grazie alle edizioni "concise" pubblicate da
The Readers Union Edition (nel 1953) e da Longmans and Green
nelle loro serie di Heritage of Literature (nel 1960) per le scuole inglesi.
Quindi, un grande successo della versione inglese.
Un successo e una diffusione che la versione in lingua italiana,
scritta contemporaneamente a quella inglese, non ebbe in Italia quando venne
pubblicata per la prima volta nel 1947, col titolo: Fuga sul Kenya -
17 giorni di libertà, dalla casa editrice LEroica di Milano.
E non basta dire che la versione inglese sia diversa da quella
italiana perchè scritta tenendo conto della sensibilità del
lettore inglese, e perchè fa riferimento a fatti e a persone più familiari
ad un pubblico di tradizioni anglosassoni.
La verità è, a mio parere, che Benuzzi ha saputo eliminare
dal racconto sia nella versione italiana che -soprattutto- in quella
inglese ogni rivendicazione politica e patriottarda, possibile in quella
situazione conflittuale.
Felice Benuzzi, ancora relegato nel campo di prigionia inglese, ha
saputo raccontare la propria eccezionale avventura con semplicità,
senza vanteria, anzi con una carica di entusiasmo che è segno e
testimonianza di cultura, di partecipazione, di curiosità e damore.
A pag. 53 del capitolo "The Mirage" della versione inglese (del 1953), si legge [le parole tra parentesi quadre sono mie]:
"... At last I managed to shut myself inside the office of the British Compound Officer while he was having lunch.
I cut holes in the hessian wall of the room and focused.
What a thrill it was to see the Mountain of Mystery magnified six times!
It appeared the embodiment of beauty, the smallest ice-colors glistening in the midday sun.
Oustanding [view] were [the] Heim and Forel glaciers seemingly hanging on the west wall.
I had a great time examining and sketching the scene..."
Questa parte, tradotta letteralmente, ci dice:
"... Finalmente sono riuscito a chiudermi dentro lufficio dellUfficiale britannico del Campo, mentre lui stava pranzando.
Ho tagliato i fori nella parete della tela di iuta della camera e ho messo a fuoco [il binocolo].
Che emozione è stata vedere la Montagna di Mistero ingrandita sei volte!
Sembrava lincarnazione della bellezza, con i colori [dei più piccoli cristalli] di ghiaccio scintillanti nel sole di mezzogiorno.
[Una vista] eccezionale erano i ghiacciai Heim e Forel apparentemente appesi sulla parete ovest.
Ho avuto un grande momento per esaminare e per disegnare la scena..."
A pag. 58 del capitolo "Il Miraggio" della versione italiana (versione CDA 1991), si leggono parole diverse ma che mantengono lo stesso significato:
"... Tagliai con la lametta due fori nella parete della baracca,
che era di tela catramata, vi appoggiai il binocolo puntandolo sul Kenya e lentamente misi a fuoco.
Mai come in quei giorni la montagna dei nostri sogni era stata chiara
nel sole meridiano, ed a stento potei trattenere unesclamazione di
meraviglia, quando il Batian apparve ai miei occhi nitido e superbo,
ingrandito e ravvicinato 6 volte.
Quanto era bello!
Ma quanto era difficile!
I ghiacciai Heim e Forel, pendenti sulla tremenda parete ovest,
parevano di vetro fuso...
Passai unora indimenticabile a guardare e a disegnare, ingrandito,
il Monte dei Misteri...".
E il Monte Kenya diventa così, in queste pagine, uno scrigno di
meraviglie, illuminato da un fascino arcano, trasformandosi in un
approdo che apre la via per lignoto, un emblema e un simbolo di un
bene incommensurabile per tutta lumanità: la libertà.
Il capitolo finale dedicato al vento (The Wind), che lo ha accompagnato
incessantemente durante tutta lavventura sul Monte Kenya si chiude con un paragrafo
bellissimo che racchiude in sè la gratitudine per limpresa riuscita e il rimpianto
di lasciare quelle zone:
...And the wind seemed to add:
"The dream you dream shall live in your memory, a delight that never will
stale, it will be your inspiration in the bitter years to come.
  But be careful!
For what you have gained you have paid in full measure, but it is meant for you only.
Keep my precious secrets to yourselves and reveal nothing to anybody."
I, obstinate as I am, have written a book about it.
(...E il vento sembrava aggiungere:
"Il sogno che avete sognato vivrà nella vostra memoria, un piacere che non sarà mai stantìo,
sarà la vostra ispirazione negli anni amari a venire.
Ma attenzione!
Per quello che avete guadagnato avete pagato in misura piena, ma ciò è destinato solo per voi.
Mantenete i miei preziosi segreti solo per voi e senza rivelare niente a nessuno."
Io, ostinato come sono, ho scritto un libro su di esso.)
Il libro, nella prima versione in lingua inglese, termina qua.
Benuzzi non spiega la scelta del titolo inglese No Picnic on Mount Kenya, ma ricerche successive
sembrano avvalorare lidea che Benuzzi si ispirò a quanto aveva detto Vivienne de Watteville
nel suo libro "Speak to the Earth", scritto nel 1935 dopo le sue escursioni del 1929 sul
Monte Kenya: "No expedition on the mountain was ever a picnic (Nessuna spedizione in montagna
è mai stata un pic-nic).
Benuzzi, che probabilmente aveva letto quel libro, forse fu colpito da questa frase e decise
così di dare questo titolo al suo libro, realizzando però un doppio significato.
Quello cioè di ricordare che "una salita in montagna è sempre una impresa di duro
impegno", ma anche, aggiungendo unironica allusione, che "farlo con le povere razioni e con
lequipaggiamento raffazzonato nel campo di prigionia, è ancora più duro".
Nella versione italiana il capitolo "Il Vento" termina con parole leggermente diverse
ma il significato rimane sempre lo stesso.
Inoltre, il libro in lingua italiana ("Fuga sul Kenya") ha un capitolo aggiuntivo:
"LIgnoto", unappendice storica topografica sul Monte Kenya, sugli abitanti e sui
primi scopritori e salitori.
Qui, Felice Benuzzi conclude il paragrafo e il suo libro con queste parole:
"... Ogni passo era una scoperta, un principio.
Eravamo all’origine delle cose, quando i luoghi non avevano nome;
ogni sguardo faceva scaturire dal nostro animo pensieri dammirazione,
di gratitudine, di riverenza...".
Bellissima conclusione che, comunque, non toglie nulla alla freschezza della conclusione nella versione inglese.
Nelle versioni americane, in parte illustrate qui sopra, ci furono molte recensioni positive.
Eccone alcune:
The New Yorker:
A most extraordinary and well-written prisoner-of-war and escape story...
His narrative of the adventure is full of humor, sharp characterizations, and a reverence for nature.
(The New Yorker:
Una storia estremamente straordinaria e ben scritta da un prigioniero di guerra in fuga...
Il suo racconto di questa avventura è pieno di humor, caratterizzazioni nitide e di un rispetto per la natura.)
Time:
The story of their blundering journey is told by Author Benuzzi with both vividness and restraint.
(Time:
La storia del loro goffo viaggio è raccontata dallautore Benuzzi sia con vivacità che con sobrietà.)
Roy Campbell in the Sunday Time:
"Signor Benuzzi" ... wrongly disclaims being a literary man: he can beat most literary men at their own game when it comes to descriptive writing.
"No Picnic on Mount Kenya" is as movingly preposterous as Kon-Tiki, perhaps more moving.
(Roy Campbell su Sunday Time:
Il "Signor Benuzzi" ... nega a torto di essere un uomo letterario: ma lui può battere la maggior parte degli uomini di lettere al loro stesso gioco quando si tratta di scrittura descrittiva.
"No Picnic on Mount Kenya" è assurdamente commovente come Kon-Tiki, forse più commovente.)
Rick Ridgeway, famoso alpinista e scrittore americano che ha arrampicato in tutte le montagne del mondo, ha scritto diverse introduzioni e prefazioni nelle versioni inglesi del libro di Benuzzi.
In una di queste, così si riferisce al personaggio "Benuzzi", al suo modo di fare montagna e alla sua opera:
This contrast of the freedom of the mountains against the oppression of man is the leitmotif of Benuzzis book.
Perhaps more than any climbing story, "No Picnic on Mount Kenya" captures that strong underpinning of revolt common to most mountaineers.
The men and women I know drawn to the hills are mavericks whose principal loyalty is to the individuals right to take his own risks and discover his own truths, and as much as anyone, Benuzzi applauds that right and condemns those who might curtail it.
Rick Ridgeway
Questo contrasto della libertà delle montagne contro loppressione delluomo è il leit motiv del libro di Benuzzi.
Forse più di qualsiasi altra storia di arrampicata, "No Picnic on Mount Kenya" colpisce per il forte sostegno alla rivolta, atteggiamento comune alla maggior parte degli alpinisti.
Gli uomini e le donne che ho conosciuto su colline e monti sono come cani sciolti la cui principale fedeltà è il diritto dellindividuo di prendere i propri rischi e di scoprire le proprie verità, e come chiunque, Benuzzi conferma tale diritto e condanna coloro che potrebbero limitarlo.
Rick Ridgeway
In onore di Benuzzi, il Colle tra le cime Point Dutton (m 4885) e il Petit Gendarme (m 4976) sul Monte Kenya, cime salite da Felice Benuzzi e da Giuàn Balletto durante il loro fallito tentativo di raggiungere la vetta del Batian (m 5199), è stato nominato: Benuzzi Col.
E grazie a questo suo testo, il libro rimarrà sempre scritto da un giovane per i giovani.
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