Cronaca dell’escursione sulle prime tre tappe della Via Francigena in Piemonte,
insieme con i soci della Sezione di Cuneo dell’Associazione "Giovane Montagna"
(dal 28/4 al 30/4/2022)

( da Pont-Saint-Martin (VdA) [m 345 slm] a Santhià (VC) [m 183 slm] per circa 75 km )

Cronaca della 1° Tappa sulla VF in Piemonte (Pont-Saint-Martin -> Ivrea)


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In cammino insieme con i soci della
Associazione G.M. ("Giovane Montagna")
Sezione di Cuneo


( sulle prime tre tappe della Via Francigena in Piemonte, partendo dalla Valle d’Aosta )
(da Pont-Saint-Martin a Santhià)

Escursione organizzata dai responsabili della sezione G.M. di Cuneo

Cronaca a cura di Enea Fiorentini (G.M. di Roma)
(28 - 30 Aprile 2022)




 
           NOTE VARIE:

  1. Note su Pont-Saint-Martin e la sua storia:    ->>> Back

    [ L’abitato prende il nome dal poderoso ponte romano dedicato a San Martino di Tours, che attraversa il torrente Lys.   Costruito nel I secolo a.C., nel corso di quasi 2.000 anni ha consentito il passaggio dalla regione di Eporedia (l’attuale Ivrea) verso la Valle d’Aosta.   Il ponte è lungo 31 m e alto 23 m.   Fu utilizzato fino al XIX secolo, poi venne costruito un ponte moderno nelle sue vicinanze.   Da Pont-Saint-Martin, in epoca romana, passava la via delle Gallie, strada romana consolare fatta costruire da Augusto per collegare la Pianura Padana con la Gallia.   Passaggio obbligato lungo la via delle Gallie e successivamente lungo la Via Francigena, Pont-Saint-Martin nel 575 si trovò al confine del regno dei Franchi   Nel Medioevo fu amministrato dalla signoria locale, i Signori di Bard, che nel 1200 fecero erigere il castello di Pont-Saint-Martin (il Castellaccio), che ancora sovrasta il paese.   Durante la Seconda guerra mondiale, nel 1944, l’abitato fu devastato da un bombardamento, ma il ponte romano resistette.   I monumenti più importanti di Pont-Saint-Martin sono:
    - La chiesa di Fontaney, sede della parrocchia fino al 1899;
    - Il castello Baraing, appartenente alla potente famiglia omonima;
    - Le rovine del Castello di Pont-Saint-Martin detto Castellaccio, sito su di un promontorio, all’envers rispetto al borgo;
    - La casaforte di Pont-Saint-Martin, nota anche come ’l Castel: si trova a sud della chiesa parrocchiale ed era la fattoria che serviva il castello sul promontorio e che venne trasformata in casaforte quando i signori di Pont-Saint-Martin abbandonarono il Castellaccio, forse intorno al XVI secolo.
    - Dopo un restauro finanziato dal comune e con il fondo Fospi della Regione Valle d’Aosta, è stata riaperta al pubblico il 15 settembre 2012.
    - Il castello di Suzey, sopra Ivéry.
    - La Casaforte della Rivoire, nei pressi di via Émile Chanoux, del Cinquecento; prende il nome dalla località omonima, in latino Roveriae.
    Note tratte dal sito: https://it.wikipedia.org/wiki/Pont-Saint-Martin_(Italia) ]



  2. Note sulla Cappella Ferrata di Pont-Saint-Martin:    ->>> Back

    [ Lasciando il centro di Pont-Saint-Martin verso il quartieri "Prati Nuovi" si incontra, nell’omonima frazione, la "Cappella Ferrata" dedicata a Sant’Erasmo.   Già citata in un documento quattrocentesco, della Cappella si parla ufficialmente in un atto di visita pastorale del Vescovo nel 1557.   Si ritiene che la chiesetta sia stata fondata dai monaci Benedettini e nel 1639 si trova già citata con il nome di "Capella Frà" che potrebbe significare appunto, con una certa attendibilità, fondata dai frati.   Per cui il nome "Cappella Ferrata", comparso solo nel ’900, potrebbe probabilmente essere un errore di traduzione dal Piemontese all’Italiano.
    A sostegno di questa tesi va ricordato che la frazione è tuttora denominata dalle popolazioni locali "Convento".   I dipinti della facciata settecentesca (periodo in cui l’ingresso fu creato verso la strada, mentre in origine era orientato ad est) vennero ricoperti nel 1928 dagli attuali.   La porta d’ingresso è in noce scolpito ed è datata 1729 come i mobili della sacrestia.   All’interno, una pregevole statua della Madonna con bambino del 1600 e due ostensori che contengono le reliquie di Sant’Erasmo, donate dal Vescovo di Gaeta.   Sant’Erasmo (Vescovo di Antiochia e martirizzato a Formia nel 303 d.C.) è il protettore delle partorienti e dei malati di stomaco, in ricordo delle torture da lui subite.
    Note tratte dal sito: http://www.serramorena.it/intorno-ad-ivrea/via-francigena/francigena-pont-saint-martin-a-carema/ ]



  3. Note sulla Cappella di San Rocco di Carema:    ->>> Back

    [ Seguendo l’itinerario della Via Francigena partendo da Pont-Saint-Martin, si entra nel territorio di Carema dall’antico sentiero che sale alla Cappella di San Rocco, eretta dai Caremesi nel XVII° Sec. in onore del Santo che protesse le popolazioni locali dalla peste.   La particolare posizione in cui si trova la costruzione, offre una splendida visione sulla Conca Caremese.   La Cappella di San Rocco e la cappella di Siei, posta sull’altro lato della valletta che ospita il centro abitato, sono considerate le due sentinelle della Conca Caremese.
    Note tratte dal sito: http://www.serramorena.it/intorno-ad-ivrea/via-francigena/francigena-pont-saint-martin-a-carema/ ]



  4. Note su Carema e la sua storia:    ->>> Back

    [ In epoca romana da Pont-Saint-Martin passava la via Emilia, che collegava Ariminum (Rimini) con Placentia (Piacenza) per poi continuare, grazie a un prolungamento successivo, fino ad Aosta (Augusta Praetoria).   Il toponimo Carema deriverebbe infatti dall’espressione latina: "quadragesimum lapidem ab Augusta Praetoria" (cioè a quaranta miglia da Aosta), denotando un’origine del paese posteriore alla fondazione di Aosta da parte dei romani.   Un’altra ipotesi è che l’origine del nome sia Caremam, cioè "dogana".   Il vecchio borgo di Carema, di origine medievale, con le sue viuzze e le case in pietra addossate tra loro, si erge nella conca morenica, segnata da una imponente serie di terrazzamenti strappati alla montagna e coltivati a vite.   I pergolati sorretti, per ampia parte, dalle tipiche colonne di pietra e mattoni, imbiancate con la calce, denominate in lingua piemontese "tupiun", costituiscono l’aspetto più caratteristico del paesaggio.   Vi si produce un vino di grande sostanza e tradizione denominato appunto Carema.   Il 18 e 19 marzo 2007 nel Comune si era tenuto un referendum a norma dell’articolo 132, comma II della Costituzione, che proponeva il distacco del Comune dalla regione Piemonte per aggregarlo alla regione Valle d’Aosta.   I cittadini a stragrande maggioranza hanno approvato la proposta che però, udito il parere dei due Consigli regionali interessati, non ha portato al cambiamento dei confini regionali.   A favore di chi sosteneva la tesi dell’unificazione alla Valle d’Aosta c’è la circostanza che un tempo Carema era una dipendenza del Ducato di Aosta, tant’è che lo storico valdostano Jean-Baptiste de Tillier inserisce i Carstrusson o Castruchon, antichi signori di Carema (o Caresme o Caremme, in lingua francese antica per il de Tillier) tra le famiglie nobili valdostane nella sua opera: "Nobiliaire du Duché d’Aoste", adducendo come ragione di ciò proprio questa circostanza.   Lungo le viuzze e sulle minuscole piazze si trovano diverse fontane in pietra.   La più caratteristica è quella di via Basilia, fatta costruire dai conti Challant-Madruzzo in omaggio ai Duchi di Savoia nel 1571: la stele in granito posta in punta alla vasca è ornata con stemmi araldici dei Savoia e dei Re di Francia.   Tra le vestigia di sapore altomedievale va ricordata, all’angolo con via Bottero, la Grand Maison, o Gran Masun, una "casaforte" che doveva avere in origine funzioni difensive.   Sulle sue robuste pareti in pietra si aprono piccole finestre con inferriate, incorniciate da rustici architravi e piedritti; si notano sulla facciata resti di stemmi araldici.   Più al centro del paese, anche la "Torre degli Ugoni (o Ugoneti)" aveva una funzione difensiva, mentre la torre campanaria, alta 60 metri, costruita tra il 1760 ed il 1769 segna il profilo del paese e del paesaggio anche da molto lontano.   Agli estremi della conca che fa da sfondo al paese sono poste, quasi in funzione di sentinelle, due edifici votivi cari alla devozione popolare: sulla sinistra la piccola cappella di Siei, e sulla destra, sopra uno spuntone di roccia, la seicentesca cappella di San Rocco.   Sopra uno sperone roccioso in frazione Airale si abbarbicano ancora i ruderi del Castello di Castruzzone, castello che nel 1357 Amedeo VI ricevette come feudo perpetuo dal Vescovo di Ivrea, insieme a Carema.   Note tratte dal sito: https://it.wikipedia.org/wiki/Carema ]



  5. Note sui ruderi del Castello di Castruzzone:    ->>> Back

    [ Passeggiata singolare quella che ci conduce nei pressi di ruderi del Castello di Castruzzone, sullo sperone roccioso e boscoso che separa Carema da Airale.   Sono ruderi che contengono molta storia di questi luoghi per poi cadere nell’oblio quasi completo.   Iniziamo a capire il significato del nome del comune in cui il castello si trova: Carema, l’estremo confine del Piemonte verso la Valle d’Aosta, un borgo di certo molto particolare.   Già G. Ferrero in uno studio del 1888 lo credette allusivio alla "Quadragesima Galliarum" cioè alla "quarantesima libbra" che in quel punto, di confine tra l’Italia ed i "fines Cottii", veniva riscossa dai Romani, col tasso del due e mezzo per cento sul valore delle merci introdotte.   Tassa che come spiega il Serra, si continuò a pagare su quello che poi fu il "limes" tra Italia e la Borgogna, fino al regno di Berengario e di Ottone I, più o meno nella stessa zona.   Un territorio di confine e di dogana fin da epoche molto antiche e da sempre, quando si parla di tassazione e dazi a carico di chi transita, in questi luoghi serpeggia il malumore che a volte si tramuta in qualcosa di più grave, come nel caso dei dissidi tra i comuni di Ivrea e Vercelli, che proprio in queste terre, si vedevano ledere vicendevolmente gli interessi.   Non è dato sapere quando i due comuni cominciarono, con i rispettivi vescovi, a fronteggiarsi per il monopolio delle pietre da macina di produzione valdostana, che da Carema dovevano forzatamente transitare per raggiungere la pianura, certo è, che in gioco vi erano cifre rilevanti per giustificare, già nella prima metà del XII° secolo, zuffe e battaglie tra le due parti.   La questione è spinosa e viene discussa anche in sede imperiale; Federico I dalla località di Würzburg nel 1152 riconosce al vescovo di Vercelli Uguccione, il diritto di acquistare e trasportare le macine contro ogni pretesa di altri.   Per concretizzare tale diritto concede di "hedificare et munire" il Monte di Uguccione, la cima che presumibilmente venne così appellata in onore del vescovo vercellese.   I lavori iniziarono immediatamente tanto che in soli undici anni la nuova fortificazione venne realizzata ed esercitava il proprio ruolo di controllo per mano del Marchese Guglielmo di Monferrato (alleato a quell’epoca della città di Vercelli) o per meglio dire per mano dei Visconti di Valenza al quale la costruzione venne affidata da Guglielmo.   Il castello di Castruzzone (il cui nome deriva sicuramente da Castrum Uguccionis e non come erroneamente venne interpretato da Castrum Ugonis) si ritrova quindi in una posizione molto privilegiata lungo la vecchia strada delle Gallie, a valle dei territori controllati dai Savoia (ovvero la Valle d’Aosta in mano alla casata degli Challant) e a monte di numerosi castelli sulla via verso Eporedia (Ivrea), ricordiamo Montalto, Montestrutto, Settimo Vittone e Cesnola i cui signori patteggiavano di volta in volta con Vercelli oppure con Ivrea.   I legami tra Vercelli ed i marchesi del Monferrato presto terminano, ma il castello rimane quale possedimento monferrino ed inevitabilmente la marca casalese esercita il proprio arbitraggio sui pedaggi da e verso le Alpi.   Sia la città eusebiana (Vercelli) che Ivrea tentano vari e ripetuti atti di forza per strapparne il controllo ma debbono rassegnarsi nel corso dei secoli XII e XIII a trattare accettando l’inevitabile situazione esistente.   Integerrimi e precisi "esattori" la casata che diviene nota come "I Signori di Castruzzone" applicano rigorosamente il loro diritto di tassazione, poche sono le eccezioni limitate ad alcuni enti religiosi quali la canonica di S. Egidio di Verrès e l’abbazia di Brione.   Oltre che sul commercio è documentato un controllo pesante anche sul traffico normale, che culmina con sequestro delle merci in transito.   L’importanza di sbarrare la strada ai nemici dei Monferrato venne rivalutata nel clima delle guerre e battaglie trecentesche che prelusero alla formazione dei principati territoriali.   Tale prerogativa veniva esercitata efficacemente anche contro il conte di Savoia, fintanto che questi dominava la sola Valle d’Aosta, ma non il suo sbocco sino ad Ivrea tanto che, conscio dell’importanza strategica del luogo, nel 1344 cercò inutilmente di insediarsi a Castruzzone anche dal signore di Milano Luchino Visconti.   I documenti successivi ci portano al 1356 mentre il Monferrato minaccia di aumentare le tariffe e il pedaggio, i Savoia conquistano stabilmente Ivrea: è l’inizio della decadenza, Castruzzone rappresenta una fastidiosa spina nel fianco conficcata nel pieno dei possessi sabaudi e dopo quasi duecento anni di onorato servizio, deve necessariamente soccombere.   Nel 1372 lo troviamo trasformato in una castellania dei Savoia, mantiene ancora la sua funzione di controllo viario.   Nel periodo 31 gennaio 1379 - 1° gennaio 1383 un unico castellano regge le castellanie di Bard e di Castruzzone, pur con computi separati (solo i proventi dei "banna concordata" sono segnati tutti nei conti di Bard) ciò che già può essere inteso come un indizio della prossima smobilitazione della castellania di Castruzzone (fonte A. Settia - Castelli e strade del nord Italia in età comunale: sicurezza, popolamento, strategia).   Nel 1391 il castello e il territorio di Carema ed il suo maniero, vengono utilizzati come merce di scambio, ceduti in feudo assieme a Lemie a Domenico Testa di Avigliana in cambio di Borgomasino.   Seguono decadenza ed abbandono, solo cenni relativi ad infeudazioni successive nel 1409, 1423, 1440.   Successivamente solo G. BELLAGARDA "Settimo Vittone. Appunti di storia Canavesana" Torino 1968, segnala nella seconda metà del secolo XVI un abbattimento del castello ordinato da Carlo III di Savoia insieme con altri della zona (il non lontano castelletto di Cesnola).   Hanno così termine, nell’oblio più assoluto, le vicende legate ad una struttura voluta, progettata e costruita con funzioni di controllo stradale.   Osservando come la struttura si presenta oggi si rileva che resta in piedi una notevole parte della cinta muraria esterna lavorata a lisca di pesce, tecnica tipica delle strutture edificate tra il 1100 e il 1200; si ritrovano porte ad arco con stipiti ben squadrati e finestre regolari.   Interessanti i conci utilizzati per gli spigoli che ricordano molto quelli utilizzati nella non lontana struttura esagonale di Pramotton, probabilmente Castruzzone venne realizzato da maestranze provenienti dalla Valle d’Aosta o ivi formatesi.   Curiosa, oltre che estremamente misteriosa, risulta quanto resta della torre; a prima vista si presenta come un tratto di spessissima parete sulla quale si apre una finestra, ma ad una analisi più accurata si comprende che la torre è adagiata su un fianco e quella che sembra una finestra è invece l’accesso al suo vano interno.   Le stranezze però continuano se si considerano le misure di questo torrione: i muri perimetrali variano tra 1,80 e 2,10 metri, mentre il vano interno misura 1,10 per 1,20 metri: a cosa poteva servire quel vano così angusto e cosa ha potuto abbattere una tale costruzione?   Il Giacosa, durante la sua visita ipotizza possa averla atterrata un fulmine, ma appare assai improbabile, come non sembra possibile sia stata una carica d’esplosivo poiché la struttura appare intatta.
    Un altro bel mistero che la storia ci consegna, o se si vuole una nuova sfida che ci aspetta qualche metro più in alto degli assolati vigneti di Carema.   Testo tratto da: "Un approfondimento di Danilo Alberto" sul sito:
    http://www.viaromeacanavesana.it/storia1.asp?id=208 ]



  6. Note su Settimo Vittone:    ->>> Back

    [ Arrivando a Settimo Vittone si apre la fertile pianura Canavesana.   Da qui si entra nel grande Anfiteatro Morenico lasciato dal ritiro dell’enorme ghiacciaio Balteo.   Ci troviamo di fronte ad una conformazione geologica glaciale dell’età Pleistocena media tra le meglio conservate al mondo, che si estende con la Serra morenica di Ivrea, lunga circa 25 Km, fino ad oltre il lago di Viverone, residuo di un bacino lacustre un tempo molto più ampio risalente al Pleistocene Superiore.   Settimo Vittone, già sede di un primitivo villaggio dei Salassi, si sviluppò nel periodo successivo alla conquista romana e in particolare dopo la costruzione, avvenuta nel 1° Sec. a.C., della strada di collegamento tra Eporedia (Ivrea) e Augusta Praetoria (Aosta).   Il nome "Settimo" indica come il borgo sorgesse &quopt;ad septimum lapidem" cioè al settimo miglio romano della Strada delle Gallie, da Eporedia.   Il toponimo Vittone venne invece aggiunto in epoca medioevale.   La storia alto medioevale dell’insediamento, non è mai stata chiarita completamente.   Si narra che Ansgarda, Regina di Francia, ripudiata dal marito Ludovico il Balbo, si ritirasse presso il fratello Attone Anscario, Marchese d’Ivrea e Signore di Settimo.   Qui sarebbe poi morta nell’889 in concetto di santità e sepolta nel battistero annesso al castello.   Nell’898 moriva nella sua fortezza di Settimo anche il fratello, il quale sarebbe stato sepolto nella Chiesa presso l  Ospizio per pellegrini da lui fondato nella parte bassa del Borgo.   Dall’XI Sec. Settimo Vittone dipendeva dal Vescovo di Ivrea fino al 1357 quando dopo alterne vicende venne ceduto ad Amedeo VI di Savoia.   Salendo al castello dal borgo sottostante si percorre una antica strada selciata fiancheggita dalle cappellette della Via Crucis; da questa si accede al sagrato della Chiesa della Madonna delle Grazie che si trova nelle vicinanze del castello.   L’antico castello, arroccato su uno sperone di roccia nel XVI Sec., venne fatto smantellare dal Duca di Savoia Carlo III per motivi strategici.
    Dell’antica fortezza medioevale si possono ancora vedere i ruderi di una torre e, a sinistra del portale d’ingresso, alcuni fregi in cotto che adornavano le finestre.   La parte di fabbricato che si estende verso la vallata fu ricostruita come villa residenziale tra il 600 e il 700.
    Note tratte dal sito: https://www.francigenasigerico.it/associazione-la-via-francigena-di-sigerico-ivrea/ ]



  7. Note su Pieve di San Lorenzo e Battistero di San Giovanni a Settimo Vittone:    ->>> Back

    [ Nel parco del castello si trova il complesso alto-medioevale della Pieve di San Lorenzo costituito dal Battistero e dalla Chiesa che fu parrocchia fino al 1661.   La Chiesa ad aula unica, con pianta a croce latina e tre cappelle rettangolari, contiene pregevoli cicli di affreschi del X° e XIV° Secolo.   Il Battistero di San Giovanni ( IX° – X° Sec. ), collegato alla Chiesa, è suddiviso in otto nicchioni, con abside quadrata e un piccolo campanile aggiunto in epoca successiva ( XIII° Secolo ).   Dopo recenti restauri, sotto il pavimento del Battistero è stato trovato un antico bacino battesimale a forma ottagonale, per battesimi ad immersione.   Sulla parte superiore della porta di ingresso del battistero c’è una targa marmorea che ricorda la sepoltura in questo luogo della Regina dei Galli Ansgarda.
    L’intero complesso è oggi tutelato dal F.A.I. ]



  8. I Balmetti di San Germano, fraz. di Borgofranco d’Ivrea:    ->>> Back

    [ Provenendo dalla Valle d’Aosta e dirigendosi verso Ivrea lungo il sentiero della Via Francigena, si raggiunge la frazione di San Germano, a nord del Comune di Borgofranco d’Ivrea, a cui appartiene.   Proseguendo il cammino e dopo aver superato il centro abitato della frazione si incontra, in località Quinto di San Germano, una serie di caratteristiche costruzioni denominate "Balmetti".
    Questi edifici addossati e a volte costruiti direttamente a contatto con i lembi estremi della Serra d’Ivrea, sono stati adibiti fin dal XVIII Sec. alla conservazione dei prodotti agricoli e in particolare del vino.   Nell’ultima glaciazione l’enorme tensione del grande ghiacciaio Balteo, che premeva sulla roccia, ha creato una serie di fratture generando faglie e frane col crollo di grandi quantità di massi.   L’acqua piovana e le vene superficiali si sono nel tempo insinuate nelle fessure e nei vuoti provocando la fuoriuscita di correnti d’aria costanti alla base della bastionata rocciosa, le così dette "Ore" (dal latino "aura", brezza, soffio) le quali hanno creato un’area con un microclima avente temperatura e umidità costanti (7-8°).   Gli edifici costruiti direttamente sulle cavità da cui soffiano le "ore" si prestano in modo ottimale, alla conservazione del vino e dei prodotti alimentari e caseari.   I Balmetti costituiscono un interessante esempio di architettura spontanea nel rispetto dell’ambiente, della funzione economica e sociale.
    Essi hanno anche una funzione d’incontro, di aggregazione di festa come testimoniano i nomi delle strade: Via del Buonumore, di Bacco, della Coppa.   Infatti le costruzioni non sono mai utilizzate come abitazioni permanenti: la parte bassa, costruita sopra l’"ora" è ancora oggi adibita a locale per la conservazione dei prodotti e la parte superiore come locale di ritrovo e aggregazione tra gli amici e conoscenti. ]



  9. Un cenno di storia su Borgofranco d’Ivrea:    ->>> Back

    [ L’origine di Borgofranco risale al XIII° Sec. dalla fusione di tre piccoli centri: Quinto, Mombueno e Biò.
    A causa dei contrasti tra la Chiesa e il Comune d’Ivrea il 5 Marzo 1251 gli abitanti dei tre borghi si riunirono per erigere un luogo fortificato Borgo – Franco che impedisse le continue scorrerie dei Vercellesi attraverso la Serra e per tenere a freno le interferenze dei signorotti di Cesnola, Castruzzone, Settimo Vittone e Montestrutto.   Si costruì quindi un ricetto tra il 1256 e il 1277, auspice il Marchese del Monferrato la cui influenza su Ivrea era fortissima.   Il borgo fu dotato di ampi privilegi allo scopo di attrarre nuovi abitanti oltre alle famiglie delle tre borgate fondatrici.   Tracce dell’originaria struttura urbanistica di Borgofranco si trovano ancora nel centro storico, quadrilatero regolare che ha per asse Via Marini.   Al lato nord esiste ancora una torre di origini medievali che, sopraelevata in epoca successiva, funge attualmente da campanile.   Per circa due secoli il borgo riuscì, con alterne vicende, a mantenere la propria autonomia rispetto ai tentativi egemonici dei Savoia.   Nel 1573 iniziò la ripartizione in feudi a favore di vari nobili di corte tra cui, nel 1623, il nobile genovese Claudio Marini, ciambellano del Re di Francia e ambasciatore presso i Savoia, il quale fece costruire un importante palazzo di circa 1900 metri quadrati di superficie con un vasto giardino.   La parte sud del fabbricato riveste un notevole interesse architettonico anche per le decorazioni ancora visibili.   Il palazzo fu residenza della famiglia Marini fino alla sua estinzione nel 1720.
    All’ingresso del borgo adiacente alla torre medioevale s’innalza la Chiesa Parrocchiale dedicata alla Madonna del Rosario e dei Santi Maurizio e Germano eretta nel 1663. ]



  10. Palazzo Marini (secoli XIV - XVIII) a Borgofranco d’Ivrea:    ->>> Back

    [ È un palazzo gentilizio fatto edificare dal Marchese Claudio Marini, nobile genovese, investito del feudo di Borgofranco d’Ivrea dal Duca di Savoia Carlo Emanuele I il 18 gennaio 1623.   L’edificio fu costruito ampliando e trasformando alcune case dei secoli XIII-XIV probabilmente fortificate, poste presso la porta meridionale del Ricetto.   Ancora oggi è visibile la torre circolare posta sul lato ovest del palazzo.   Lo scalone, il portico al piano nobile e alcune sale hanno una ricca decorazione ad affresco realizzata nel XVII secolo. ]



  11. Torre Porta (el ciochèr - secoli XIII-XVIII) di Borgofranco d’Ivrea:    ->>> Back

    [ Originariamente era una torre di guardia posta a difesa della Porta Settentrionale dell’antico Ricetto, diventa, con l’accrescersi dell’importanza della vicina Cappella del Rosario, torre campanaria (XVII sec.).   Vengono allora attuati successivi interventi di sopraelezione.   Nel 1689 la terrazza superiore viene ricoperta con un tetto e a metà dello stesso secolo viene installato sulla torre il primo orologio civico.   Alla fine del Settecento si costruisce la cella campanaria: la torre raggiunge l’altezza attuale e l’aspetto che la caratterizza. ]



  12. Lago Nero:    ->>> Back

    [ Il lago Nero è un piccolo lago delle colline moreniche eporediesi situato in provincia di Torino, nel comune di Montalto Dora e, in piccola parte nel comune di Borgofranco d’Ivrea.   Il lago Nero si trova sul fondo di una conca glaciale, è di forma ellittica, con l’asse maggiore nella direzione di scorrimento dell’antico ghiacciaio Balteo.   Il Lago Nero è il più solitario ed incontaminato dei laghi dell’Eporediese, incastonato tra ripide colline ricche di boschi.   La sua superficie ha una altitudine di 299 metri slm, il perimetro è di 1,43 km con un bacino idrografico di 130 ha. ]



  13. Lago Pistono:    ->>> Back

    [ Il lago Pistono, o lago di Montalto, è un lago dell’anfiteatro morenico situato nei pressi d’Ivrea e appartenente al comune di Montalto Dora.   È situato in una conca scavata dal ritiro del ghiacciaio Balteo del Pleistocene (tra 2,58 milioni di anni fa e 11.700 anni fa), il quale ha dato origine anche ai restanti quattro laghi della zona (Sirio, Nero, Campagna e San Michele).   Oggi il lago Pistono ’ alimentato dal Rio Montesino, mentre sull’estremo lato ovest si trova un canale artificiale, atto ad alimentare quello che un tempo era il mulino del paese.   Il flusso d’acqua uscente è regolato da una piccola diga.   L’intero lago è circondato da un itinerario immerso nella natura, percorribile a piedi o in bicicletta.   Sul lato est è presente una locanda ("La Monella"), dove è anche possibile noleggiare piccole barche a remi.   Sul lato nord in cima alla collina, è di notevole presenza il Castello di Montalto Dora (sec. XI-XV - privato), che si riflette sullo specchio d’acqua sottostante. ]



  14. Capanne su palafitte di c. 6500 anni fa al Lago Pistono:    ->>> Back

    [ La ricostruzione a scala reale di una parte del villaggio ha la finalità di rendere chiare e comprensibili le tecniche di realizzazione delle strutture risalenti al Neolitico, note grazie ai rinvenimenti archeologici, reinserendole nel paesaggio naturale dell’area.   La ricostruzione "open air" rappresenta una combinazione di fedeltà scientifica e valore didattico con esigenze di durata delle strutture e sicurezza dei visitatori.   Gli indispensabili accorgimenti tecnici moderni sono stati perciò opportunamente nascosti in modo da restituire un modello fedele di uan costruzione di 6.500 anni fa.   Per la planimetria il riferimento è costituito dai fondi di capanna rettangolari documentati per i siti del Neolitico in Italia settentrionale e Oltralpe, in particolare l’abitato lacustre dell’Isolino di Biandronno (Varese), dove sono state intercettate porzioni di impalcato ligneo ancora conservate.   Le pareti sono in intreccio di nocciolo, rivestite da un intonaco ottenuto con un impasto di argilla e sabbia locale con l’aggiunta di paglia, mentre il tetto è in canne palustri a doppio spiovente, in coerenza con i rinvenimenti dei siti lacustri dello Jura francese, dove le particolari condizioni ambientali hanno permesso la conservazione di elementi lignei e porzioni di intonaco.   L’impianto corrisponde al piano di calpest’o attuale del bosco, con pali infissi profondamente nel terreno che sorreggono il tavolato ligneo.   La scelta del legno di castagno, essenza non documentata nel Neolitico, in alternativa alla quercia e all’ontano, è motivata dalla durata del materiale e dalle scarse esigenze di manutenzione.   Anche la palizzata, che era una struttura comune la cui costruzione nel Neolitico coinvolgeva a più riprese l’intera comunità, è realizzata con un’intelaiatura di pali portanti e un intreccio di nocciolo, come il riempimento delle pareti della capanna.   Prossimo alla capanna si trova inoltre un recinto per il ricovero degli animali. ]



  15. Terre Ballerine e Torbiera:    ->>> Back

    [ Le Terre Ballerine:
    Questo curioso nome deriva da un singolare fenomeno: al fondo dell’avvallamento che si trova di fronte, ormai ricco di alberi e vegetazione varia, il terreno è così elastico che facendo un piccolo salto si rimbalza come su un materasso e le piante vicine si muovono a tempo.   La spiegazione sta nel fatto che, sotto allo strato di terra trattenuto dalle radici che si calpestano, si accumula dell’acqua.   Ci si trova infatti su una torbiera dove in passato esisteva un lembo del famoso Lago Coniglio.   Nel 1895 il lago, già in fase di eutrofizzazione (riempimento), fu del tutto prosciugato dal Signor Mongenet, divenuto proprietario di questa zona, che necessitava della torba per alimentare le sue industrie siderurgiche di Pont-Saint-Martin.
    Probabilmente in corrispondenza degli scavi per l’estrazione della torba, furono rinvenuti in questo luogo i resti di una piroga, di un’ascia e di una spada in bronzo, risalenti all’età del Bronzo Recente e Finale (c. 1400-800 a.C.), segni inequivocabili di un villaggio su palafitte.   Una plausibile capanna di quell’epoca è stata ricostruita recentemente ed à visibile ai bordi del lago.
    Torbiera:
    Una torbiera è un lago "morto", che si è cioé riempito di organismi vegetali e animali morti i quali, in mancanza di ossigeno, non sono stati decomposti dai batteri aerobi.   Questi resti costituiscono il substrato, la "terra" su cui crescerà la nuova vegetazione.   Un lago infatti è soggetto ad un’evoluzione che lo trasforma prima in uno stagno, poi in palude ed infine in prato umido e torbiera, se l’ambiente in cui si è deposta la sostanza organica è acido.
    Le tappe di vita di un lago sono le seguenti:
    - Lago "Giovane" Oligotrofico
    con acqua trasparente e fredda, generalmente molto profonda, con molto ossigeno, ci sono poche piante e pochi animali.
    - Lago "Adulto" Mesotrofico
    con acqua meno trasparente, minor quantità di ossigeno, fauna ittica ancora pregiata ma caratterizzata da specie meno esigenti, ed infine una buona quantità di alghe e piante acquatiche.   I resti degli animali e delle piante morte si depositano sul fondo.
    - Lago "Vecchio" Eutrofico
    L’ossigeno sciolto nell’acqua inizia a scarseggiare, l’acqua non è più limpida, sono molti i detriti sul fondo.   Resistono solo alcuni pesci come le carpe.
    - Lago "Morto"
    Le piante acquatiche avanzano dalla riva verso il centro del lago che si riempie sempre di più di materiale sedimentario e diventerà così prima stagno, poi palude ed infine, prato umido e torbiera. ]



  16. Alcune note su Ivrea:    ->>> Back

    [ Ivrea si trova ad una latitudine 45° 27´ 44" Nord e longitudine 7° 52´ 29" Est, con un’altitudine di 267 m s.l.m.   Bagnata dal fiume Dora Baltea, un affluente del Po, è collocata in un’area formatasi da un grande Ghiacciaio del Pleistocene, il quale trasportò nel tempo numerosi detriti che andarono a formare una serie di rilievi morenici, tra cui la cosiddetta Serra Morenica, considerata la collina più lunga, massiccia e dritta d’Europa, circa 25 km, e che separa il Canavese settentrionale dal Biellese.   La particolare disposizione delle strutture moreniche infatti, tende a formare un vero e proprio anfiteatro geologico, nel quale Ivrea è collocata al centro.   In seguito al ritiro dell’ultima glaciazione (9700 a.C. circa), la zona si arricchì di numerosi laghi morenici, che ancor oggi circondano la città.   Essi sono principalmente cinque, il Lago Sirio, il Lago San Michele (verso Chiaverano), il Lago Pistono a Montalto Dora, il Lago Nero (tra Montalto Dora e Borgofranco) e il Lago di Campagna a Cascinette.   Poco più lontano si trovano anche il Lago di Viverone (al confine con la Provincia di Biella) e il Lago di Candia (nel basso Canavese), oltre ad altri vari piccoli specchi d’acqua sparsi.   Strategico crocevia viario già in tempi remoti, ad ovest di Ivrea è possibile raggiungere la Valchiusella, mentre a nord la regione Val d’Aosta.   A est si diparte la strada per Vercelli e Milano.   A nord-est, quella per Biella, distante solamente 20 km in linea d’aria e 35 km su strada.   Il centro storico di Ivrea si inerpica su una collina che porta al Castello sabaudo ed al Duomo, mentre la parte moderna si estende in piano, occupando entrambe le sponde della Dora Baltea ed i territori circostanti.   Verso sud, si accede invece al Canavese, verso Torino.   Nel 1468, per volere di Jolanda di Francia, venne costruito il cosiddetto Naviglio di Ivrea, un canale irriguo destinato a rifornire di acqua le risaie del vercellese e che, essendo in origine navigabile, permetteva il collegamento tra Ivrea e Vercelli.
    Parte del testo tratto dal sito: https://it.wikipedia.org/wiki/Ivrea ]

 
 


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