La poesia del Pascoli sul pellegrino della Via Francigena, a Galleno24 aprile - Foto tratta da sito web (http://www.confraternitadisanjacopo.it/ Francigena/galleno.htm)
Antica carta settecentesca, riproduzione di una carta del 1450, che indica i laghi di Sesto (o di Bientina), oggi prosciugato, e quello di Fucecchio24 aprile - Foto tratta da sito web (http://etd.adm.unipi.it/theses/available/ etd-09172006-164201/unrestricted/ 04analisi_conoscitiva.pdf)
Imbocco del sentiero per le Cerbaie di Galleno24 aprile - Foto tratta da sito web (http://www.confraternitadisanjacopo.it/ Francigena/galleno.htm)
Selciato medioevale a Galleno24 aprile - Foto tratta da sito web (http://www.confraternitadisanjacopo.it/ Francigena/galleno.htm)
Segnaletica danneggiata nelle Cerbaie di Galleno24 aprile - Foto tratta da sito web (http://www.confraternitadisanjacopo.it/ Francigena/galleno.htm)
I pellegrini nelle Cerbaie di Galleno24 aprile - (Foto tratta da sito RAI)
Ponte a Cappiano verso Fucecchio con il canale Usciana emissario del Padùle24 aprile - (Foto tratta da sito RAI)
cartello esplicativo di Ponte a Cappiano24 aprile - (Foto di E.Fiorentini)
I manufatti del Ponte a Cappiano24 aprile - (Foto di E.Fiorentini)
Schema attuale del Padùle di Fucecchio24 aprile - (Foto tratta da sito web)
La Torre della Rocca di Fucecchio25 aprile - Foto tratta da sito web (http://www.comune.fucecchio.fi.it/ site/scoprire_fucecchio.asp) (per gentile concessione: Comune di Fucecchio, e autorizzazione: dell’autore sig. Nicola Cioni)
Aree umide antiche della Toscana25 aprile - Foto tratta da sito web: ( http://www.zoneumidetoscane.it/ files/generalstoria.html ) (Per gentile concessione: Centro R.D.P. Padule di Fucecchio)
Area degli scavi di San Genesio25 aprile - Foto tratta da sito web (http://www.paesaggimedievali.it/ luoghi/genesio/storia.htm)
Area degli scavi di San Genesio dall’alto25 aprile - Foto tratta da sito web (http://www.paesaggimedievali.it/ luoghi/genesio/storia.htm)
Brunetta e Riondino nei giardini di Casa Bonaparte a San Genesio25 aprile - (Foto tratta da sito RAI)
nel centro di San Miniato25 aprile - (Foto di E.Fiorentini)
la Torre della Rocca di Federico sul colle di San Miniato25 aprile - Foto tratta da sito web (http://www.cittadisanminiato.it/ storia/Lacittastorica.htm)
la Pieve di Coiano con la grande gradinata25 aprile - Foto tratta da sito web: ( http://www.terredelmediterraneo.org/ itinerari/via_francigena.htm ) (Foto di Pino Bova)
veduta aerea del Castello e della Pieve di Coiano26 aprile - Foto tratta da sito web (http://www.castellodicoiano.it/ cenni-storici.html)
Riondino e Brunetta in posa davanti al cippo etrusco a forma di palla a Collina26 aprile - (Foto tratta da sito RAI)
La Pieve di Santa Maria a Chianni nei pressi di Gambassi Terme26 aprile - (Foto di E.Fiorentini)
Gruppo di pellegrini davanti alla Pieve di Santa Maria a Chianni26 aprile - (Foto di E.Fiorentini)
Il Pozzo in Via dello Spedale a Gambassi Terme26 aprile - (Foto di F.Vogel)
Antichi bicchieri modello -gambassino-26 aprile - (Foto di E.Fiorentini)
Brunetta e Riondino tra i cipressi sulla strada tra Gambassi Terme e San Gimignano27 aprile - (Foto tratta da sito RAI)
Latini e Riondino alla Pieve di Santo Pietro27 aprile - (Foto tratta da sito RAI)
Sosta alla Chiesa di Pàncole27 aprile - (Foto di B.Romanelli)
Il presepio nei sotterranei della Chiesa di Pàncole27 aprile - (Foto di E.Fiorentini)
La Torre di Collemuccioli salendo alla Pieve di Cèllole27 aprile - (Foto di E.Fiorentini)
La Pieve di Cèllole dedicata a Santa Maria27 aprile - (Foto di E.Fiorentini)
Particolare delle iscrizioni sulla facciata della Pieve di Cèllole, con l’indicazione della sua data di consacrazione (A.D. 1238)27 aprile - (Foto di B.Romanelli)
Vista di San Gimignano dalle colline più a nord27 aprile - (Foto di B.Romanelli)
Le torri di San Gimignano27 aprile - (Foto di E.Fiorentini)
Brunetta e Riondino alla Badia a Conèo28 aprile - (Foto tratta da sito RAI)
Particolare del capitello all’ingresso della Colleggiata della Badia a Conèo28 aprile - (Foto di B.Romanelli)
La facciata della Badia a Conèo28 aprile - (Foto di B.Romanelli)
Il fianco e il tiburio della Badia a Conèo28 aprile - (Foto di B.Romanelli)
La facciata della Abbazia ad Abbadia a Isola28 aprile - (Foto di B.Romanelli)
L’interno dell’Abbazia ad Abbadia a Isola con il polittico di Sano di Pietro28 aprile - (Foto di F.Vogel)
Panorama verso Monteriggioni29 aprile - (Foto di B.Romanelli)
Brunetta davanti al Castello della Chiocciola29 aprile - (Foto tratta da sito RAI)
Il Castello della Chiocciola29 aprile - (Foto di E.Fiorentini)
Panorama sul Montemaggio a nord di Siena29 aprile - (Foto tratta da sito RAI)
Ingresso a Siena attraverso Porta Camollìa29 aprile - (Foto di B.Romanelli)
Facciata e campanile del Duomo di Siena29 aprile - (Foto di B.Romanelli)
Spedale di Santa Maria della Scala a Siena29 aprile - (Foto di E.Fiorentini)
Sala del Pellegrinaio all’interno dello Spedale di Santa Maria della Scala a Siena, con gli affreschi di Domenico Di Bartolo e di altri29 aprile - (Foto di B.Romanelli)
La Maestà di Siena di Duccio di Buoninsegna29 aprile - (Foto tratta da sito web (http://www.storiadellarte.com/ biografie/duccio/duccio.htm)
La Porta Romana di Siena30 aprile - (Foto di C.Melappioni)
La Grancia di Cuna30 aprile - (Foto di C.Melappioni)
Le scale interne della Grancia di Cuna30 aprile - (Foto di C.Melappioni)
Particolare della Grancia di Cuna30 aprile - (Foto tratta da sito RAI)
David Riondino tra Siena e Buonconvento30 aprile - (Foto tratta da sito RAI)
Vista sulle crete senesi da Quinciano30 aprile - (Foto di F.Vogel)
La Pieve di Santa Innocenza alla Piana nei pressi di Buonconvento30 aprile - (Foto di E.Fiorentini)
tra le vie di Buonconvento30 aprile - (Foto di C.Melappioni)
insegne e targhe sulle torri di Buonconvento30 aprile - (Foto di C.Melappioni) | Il cammino guidato dalla Associazione: I Pellegrini della Via Francigena - ( 19 - 26 aprile 2005 ) Il 24/4 (domenica) due nuovi personaggi: Linda Brunetta (sceneggiatrice) e David Riondino (attore di teatro, televisione e cinema), prendono le consegne da Paola Scarsi e da Antonio Bozzo e iniziano da Altopascio (m 19 slm) la loro settimana di cammino ancora sotto la guida di persone della associazione: I Pellegrini della Via Francigena [1] , coordinate sempre da Renzo Malanca. La giornata si presenta con cielo leggermente velato, ed è molto adatta per camminare tra boschi e paludi. Riondino e Brunetta sono arrivati ad Altopascio ieri pomeriggio (sabato 23/4) e hanno avuto la possibilità di visitare questa città del Pane dalle antiche origini e vestigia. Anche loro hanno visitato la Casa del Mercante che mostra le arti e i commerci che si praticavano in tutti i luoghi importanti di sosta e, in particolare, qui ad Altopascio zona di scambio di merci tra città, campagna, montagne e luoghi stranieri anche molti distanti. Viene raccontato loro che qui si scambiavano 48 vacche per un un braccio di tela rossa, molto rara, proveniente dalle lontane Fiandre. Da quando il papa Bonifacio VIII, nel 1300, aveva indetto il primo Giubileo con Indulgenza Plenaria della storia, anche come reazione al fatto che il re di Francia Filippo IV il Bello, per liberarsi dagli obblighi con i suoi feudatari e con la Chiesa, non aveva più pagato a quest’ultima le decime, a Roma si riversarono centinaia di migliaia di pellegrini e mercanti. In poco tempo, crebbe enormemente lo scambio di beni e poi fu creato un commercio più organizzato con il pagamento in soldi o con le prime forme di cambiali (i pagherò), facendo nascere banche e banchieri un po’ ovunque. Roma ritornò ad essere una città importante e crebbe in case, strade e numero di abitanti. Tra i primi pellegrini che camminarono verso Roma ci furono anche Cimabue, Giotto e Dante che lasciarono traccia di questo viaggio nei loro scritti. Dante stesso ricorda questo enorme flusso di pellegrini a Roma raccontando, nel XVIII Canto dell’Inferno, che i pellegrini erano incolonnati in un doppio senso di marcia (andata e ritorno) sul ponte di Castel Gandolfo, proprio per regolarne il flusso all’interno della città e verso la Basilica di San Pietro:
<... come i Roman per l’essercito molto, l’anno del giubileo, su per lo ponte hanno a passar la gente modo colto,
che dall’un lato tutti hanno la fronte verso ’l castello, e vanno a Santo Pietro; dall’altra sponda vanno verso il monte... >
E, racconta Riondino, per ricevere convenientemente la gran massa di pellegrini in arrivo e in sosta a Roma per il grande Giubileo, era già stato inventato un sistema simile all’attuale bed & breakfast, che si aggiungeva all’offerta di locande, ricoveri e trattorie. Un gran numero di pellegrini partono da Altopascio e si dirigono verso sud. Tra loro è presente anche Poldino (Leopoldo Pellegrini), l’arzillo pellegrino di 91 anni - una vera istituzione della Via Francigena ad Altopascio -, che cammina ancora con grande vigore. Poldino era presente anche ieri ad Altopascio, all’arrivo della precedente coppia di giornalisti: Paola Scarsi e Antonio Bozzo. Ben presto si raggiunge il paese di Galleno. Questo paese si trova proprio nella zona settentrionale a ridosso delle colline delle Cerbaie, quasi ad un bivio tra gli invasi palustri del Lago di Sesto o di Bientina verso sud-ovest, oggi prosciugato, e il Padùle di Fucecchio o antico Lago di Valdinievole, verso sud-est. Seguendo sentieri in leggera salita, il gruppo dei pellegrini penetra nei boschi delle Cerbaie, il cui nome forse deriva dall’antica e numerosa presenza di cervi. Queste terre, già luogo di nascondiglio e di agguato dei briganti, furono da sempre contese tra Firenze e Pisa, proprio perchè poste in una zona di incrocio di importanti vie militari e mercantili, e una di queste era proprio la Via Francigena. Zone in cui, ancor oggi, se vai in macelleria e chiedi pollo sei di Pisa e se chiedi filetto e bistecca sei di Firenze, dice Riondino. In breve, si raggiunge un’altra località: Ospitaletto che ricorda gli antichi luoghi di ospitalità. E in queste zone di transito ci sono molti riscontri sui luoghi di sosta, molti dei quali compaiono già su antiche carte, come nel caso di un documento conservato nella Biblioteca Comunale di Castelfranco di Sotto, che accenna alla licenza di costruzione, nel 1464, di: < ... una casa overo capanna per vendere vino et pane et habitare ...> in località Greppi vicino a Galleno, lungo la Via Romana, allora importantissima arteria di comunicazione tra il Nord e il Centro Italia. L’osteria di Greppi sarà il primo esercizio pubblico nelle Cerbaie [2] , pensato come servizio per i viandanti ma rivolto anche ad una popolazione sparsa che stava gradualmente insediandosi ed espandendosi nel territorio. Nei luoghi di sosta tenuti da organizzazioni laiche e religiose, l’ospitalità era gratuita per i pellegrini in transito e questi ultimi conoscevano bene dov’erano questi luoghi e quali, tra essi, erano migliori come offerta di cibo, di asilo ed anche in quali di questi si potevano concludere buoni affari. Oggi si sono attraversate zone boscose, incontrando qua e là ville bellissime, ma ciò che colpisce sono i molti alberi attaccati da un virus, alcuni dei quali sono crollati a terra e altri risultano scarnificati: sembrava quasi di trovarci in una situazione infernale, sostiene Riondino. Dopo aver raggiunto e superato la zone delle Querce dove, al posto delle 7 Querce monumentali, ce n’è rimasta solo una in mezzo a tralicci, finalmente si scollina dalle Cerbaie e si raggiunge la località di Ponte a Cappiano, dove viene radunata e racchiusa <l’acqua Nigra>, così definita da Cosimo de’ Medici perchè paludosa (ma che conteneva le anguille), prima di gettarsi in Arno. Oggi nella zona del ponte, disegnato da Leonardo da Vinci, c’è una targa che riporta la frase di Cosimo de’ Medici, detta nel 1550, in occasione della ricostruzione delle chiuse sul fiume Usciana (oggi canale), emissario delle acque del Padùle e di un nuovo ponte fortificato: <... Cosimo Medici Duca di Fiorenza ha rifatto questo lago da fondamenti per benefizio pubblico et non sia chi lo disfaccia più ...>. Nei giorni nostri, a Ponte Cappiano, al posto della pesca delle anguille, c’è un allevamento di cavalli da corsa e di trotto. Seguendo stradine e strade asfaltate, si raggiunge Fucecchio (m 25 slm), luogo di arrivo della tappa odierna e 24° submansiones e tappa di Sigerico. A Fucecchio la Cronaca è tenuta nella sede della Fondazione Indro Montanelli, ospiti del suo coordinatore Alberto Manforti. La presenza nella sede storica della Fondazione ha permesso di visitare le diverse stanze con i molti reperti, tra cui due studi del giornalista ricostruiti fedelmente con tanto di macchina da scrivere portatile: le famosa Lettera 32 (la sua Lettera 22 non è presente). Ci sono foto scattate da Montanelli in Etiopia, durante il periodo di soggiorno in quelle terre, e il manoscritto del 1° articolo per il Corriere della Sera scritto dal Canada, durante un servizio preparato da lì. Poi ci sono quadri di Maccari e tante altre opere preziose. I due personaggi salutano gli organizzatori e le molte persone presenti che vogliono camminare con loro, dando l’appuntamento per la prossima tappa, e concludono la Cronaca un pò prima per dare spazio al Concerto del 25 aprile che va in diretta dal Quirinale proprio su Radio 3.
Il 25/4 (lunedì) è un giorno di festa e un folto gruppo di pellegrini, circa 20 persone, si mette in viaggio da Fucecchio insieme con Brunetta e Riondino. Nella loro "Cronaca" serale, tenuta alla Pieve di Coiano, raccontano che ieri, durante la visita al Museo di Fucecchio nel Palazzo Corsini (poi divenuto Palazzo Medici), hanno ricevuto in regalo un libro - "uno dei tanti bei libri che ho raccolto in questo viaggio" - dice Riondino. Durante quella visita al Museo, hanno ammirato molti quadri, tra cui uno dello Scheggia (fratello del Masaccio) che rappresenta le "Tre Marie" (Maria, Maria Maddalena e S.Marta con il drago) in una barchetta sul Padùle. La leggenda racconta che il quadro sembra sia stato ordinato a Scheggia da un pellegrino francese il quale vide apparire la Madonna sul mare in Francia, in un luogo conosciuto oggi come S. Marie de la Mer. La leggenda non dice come abbiano fatto le tre donne ad uscire dal Padùle e a raggiungere quella località francese affrontando il mare aperto su quella barchetta, ma l’immagine è suggestiva. Riondino ricorda di aver visto nel Museo, in alcune sale dall’aria un po’ lugubre, una lunga serie di animali e di uccelli impagliati, alcuni di loro ormai scomparsi da queste zone, come il gobbo rugginoso, il pollo sultano dalla bella livrea bluastra, la moretta tabaccata e un’aquila con una lepre nel becco. Brunetta dice che, dopo questa - un po’ triste - esposizione di animali impagliati, la vista è stata allietata da uno straordinario panorama sul paesaggio circostante, goduto dalla loggia del Museo. Dopo aver attraversato l’abitato di Fucecchio, il cammino riprende ai bordi di strade asfaltate e trafficate. Attraversato l’Arno nei pressi del paese di San Pierino, si procede su queste strade per circa 6 - 7 km fino a giungere, sotto le colline, nei pressi dei ruderi della Pieve di San Genesio [3] nella località omonima. Viene ricordata la storia e l’importanza della presenza delle Pievi nelle campagne del medioevo: Pieve deriva da plebe e indica un luogo sacro di raduno di persone e di fedeli. La Pieve di San Genesio [3] era una di queste importanti pievi, dove si faceva mercato e dove era possibile battezzare i fedeli. E, proprio la possibilità di dare il battesimo, rendeva la Pieve e il luogo in cui risiedeva più importante di altri. Viene raccontato che, in un periodo di guerre tra papato, comuni e imperatore, Federico II di Svevia, nel 1248, concesse ai cittadini di San Miniato di distruggere San Genesio [3] e la sua Pieve, in modo di accrescere l’importanza della loro chiesa e del loro castello. Nei recenti scavi archeologici del sito di San Genesio [3] , si sono trovate molte monete romane con l’effigie di vari imperatori. E’ stata trovata anche una rarissima moneta d’argento con i simboli di Carlo Magno. Sono stati trovati anche ossa di animali utilizzati nel cibo umano in mezzo a resti di cocci, il tutto lasciato in posto come se ci fosse stata una tremenda eruzione simile a quella di Pompei. I lavori di recupero, ancora in corso in aprile 2005, dovrebbero essere presto terminati, così da consentire la visita pubblica a questi luoghi. Dopo San Genesio [3] , si incontra una bellissima villa, detta di "Bonaparte" (oggi di proprietà dei Sig. Ridolfi) ed è stato possibile fare una breve visita ai suoi giardini. Il percorso comincia a salire ripidamente, i pellegrini si avvicinano alla collina di San Miniato e diventano sempre più visibili le imponenti strutture medievali della città. Alla vista delle alte torri di San Miniato, Riondino insieme con qualche compagno di viaggio, inizia a declamare alcuni versi del XIII Canto dell’ Inferno di Dante, dove si fa accenno alle vicende tragiche di Pier delle Vigne, protonotaro e consigliere di Federico II re di Svevia e imperatore, che cadde in disgrazia ingiustamente per intrighi di corte ed invidia. Pier delle Vigne venne accecato e incarcerato nel 1248 nella fortezza di San Miniato e si diede la morte nel 1249, sembra a colpi di testate in carcere:
<... La meretrice che mai dall’ospizio di Cesare non torse li occhi putti, morte comune, delle corti vizio,
infiammò contra me li animi tutti; e l’ nfiammati infiammar sì Augusto, che’ lieti onor tornaro in tristi lutti.
L’animo mio, per disdegnoso gusto, credendo col morir fuggir disdegno, ingiusto fece me contra me giusto. ...>
Si cammina in una terra ricca di antiche storie di lotte tra i guelfi e i ghibellini delle città limitrofe e di tragedie più recenti, legate alla II° guerra mondiale, tutte connotate da spaventose stragi. Riondino ricorda che la forza e l’imprendibilità del castello di San Miniato faceva dire ai suoi abitanti del Medioevo che: "...San Miniato si potrà conquistare solo se voleranno i ciuchi (cioè gli asini..). Nelle continue lotte tra le città e nelle alterne vicende di esse, l’esercito di Empoli, in guerra con quello di San Miniato, riuscì ad entrare in questa ultima città con un trucco e fece un gran massacro degli armati e della popolazione. Come segno di vittoria e di conquista di San Miniato, gli empolesi gettarono al suolo, dalle cime delle torri, dei ciuchi, facendoli così "volare", sfatando quindi la sua leggenda di imprendibilità a monito della popolazione superstite. Dopo aver attraversato questa importante città storica, che diede i natali a personaggi illustri, pare anche a Matilde di Canossa, i pellegrini proseguono per le campagne della Valdelsa, loro terreno preferito di cammino (infatti "pellegrino" significa: "per agros = per campagne"), lasciandosi alle spalle le colline pisane e la Val d’Egola. San Miniato (m 140 slm) è chiamata la Città del tartufo e anche la Città delle XX miglia, grazie alla sua particolare posizione rispetto ai centri maggiori della Toscana, poiché si trova alla stessa distanza da altrettanti città importanti: Pisa, Firenze, Pistoia, Prato, Lucca, Volterra, Siena e Livorno. Il gruppo di pellegrini procede in una zona collinare, su creste e in avvallamenti successivi, in zone ricoperte anticamente dal mare e che oggi presentano sedimenti a stratificazioni in cui è molto facile trovare grosse conchiglie fossili di colore grigio che appartengono all’epoca geologica del Pliocene (c. da 2 a 4 milioni di anni fa). Brunetta ricorda che in queste zone furono scoperte anche ossa di balena, ora conservate al Museo. In una breve sosta nel cammino, presso la casa di contadini, un’oca infuriata col collo diritto come una lancia, insegue Riondino e si blocca solo con il richiamo del padrone, mentre Brunetta conferma che le oche sono più efficienti di un cane da guardia. Finalmente il gruppo arriva alla Pieve di Coiano (la XXI Submansio "Sce Petre Currant" di Sigerico), bellissima chiesa in pietra e cotto con influenze romanico-pisane, dedicata ai Santi Pietro e Paolo. La chiesa della Pieve (del XI - XII sec.) è oggi chiusa e in stato di abbandono. La grande gradinata con gradini in cotto è sommersa da fiori ed erbe selvatici: Borragine - dice Brunetta - ottima con i ravioli. Nella "Cronaca" serale, tenuta nei pressi di questa Pieve, Riondino fa una richiesta per una sua ricostruzione e restauro. In chiusura del racconto, Brunetta ricorda di aver visto, inciso su un capitello, un tralcio di vite con le foglie che diventavano da 4 a 3, a 2, a 1 ed infine si vede il segno dell’infinito; ciò vuole significare simbolicamente - prosegue Brunetta - che il percorso della nostra vita si assottiglia gradualmente e va verso l’infinito; verso la "borragine" - replica Riondino - indicando lo stato attuale della gradinata della Pieve. Ma i pellegrini si dicono contenti della camminata odierna e ricordano le parole del pellegrino Girolamo che si stabilisce nel 1385 in Terrasanta e lascia scritto che ora riesce a capire meglio le storie dell’Eneide, avendo conosciuto direttamente i luoghi descritti. Come lui, sostengono Brunetta e Riondino, si conosce meglio la Toscana venendo a camminare in questi luoghi. Con questo ultimo commento, danno l’arrivederci agli altri pellegrini e agli ascoltatori della Radio per la prossima camminata e la prossima "Cronaca".
Il 26/4 (martedì) Brunetta e Riondino riprendono il cammino tra le colline della Valdelsa, sempre sotto la guida delle persone dell’Associazione: I Pellegrini della Via Francigena [1] , che concludono oggi il loro servizio di accompagnamento di giornalisti e personaggi RAI. Si inizia il cammino lungo una stradina che costeggia il Castello di Coiano, già antico avamposto militare per il controllo della Via Francigena (qui comunemente chiamata la "strada". Oggi vengono attraversate le terre dell’antico borgo di Timignano e di Castelvecchio (oggi Castelfiorentino), sempre contese da molte città circostanti per la ricca produzione agricola. In effetti il territorio è molto fertile ed è coltivato intensamente. Continuano a susseguirsi le ondulazioni delle colline che ricordano ancora a Riondino di trovarsi all’interno di un mare. Durante il cammino i due personaggi si scambiano le confidenze sui sogni fatti e sugli animali visti: un cavallo biondo a Coiano (che esprime ritrosia insieme a simpatia), castelli che cadono in cocci alla frazione di Castellare, il daino che fugge in una foresta mentre ne fuoriesce un fagiano... Parlando di questi sogni, si avvicinano ad un casale dove un cane col nome Tetro si mette ad abbaiare e richiama l’attenzione della padrona. Calmato il cane, la signora (di nome Ester) invita tutti i pellegrini a prendere un caffè. Nella sosta, Riondino e Brunetta notano la presenza di un altro cane, dal nome Pippo, che è in convalescenza (con una flebo di liquido curativo infilata nella zampa) dopo il morso di una vipera sul muso. Pippo è un ottimo cane da tartufi e il suo padrone, il marito della signora, ci tiene molto, gli è affezionato e spera che si salvi. I pellegrini fanno i loro auguri e ringraziano per l’ospitalità, poi riprendono il cammino tra le colline. In salita verso San Michelino, Brunetta e Riondino nascondono il loro Geoludus (la famosa scatola che contiene un dipinto di Brunetta e altri regali), nei pressi di una quercia con gelsi. Indicano poi le coordinate per ritrovarlo: - Quota: m 101 slm - Latitudine: Nord 43° 34',414 - Longitudine: Est 10° 57',050 Salendo ancora verso Gambassi, essi notano, in località Collina, una serie di strani cippi etruschi tondeggianti. L’archeologo Giovanni Corrieri, che accompagna la troupe RAI in queste tappe, ricorda che questi cippi di pietra a forma rotonda venivano posti dagli etruschi sopra la copertura dei sepolcri o nelle loro vicinanze, e segnalavano la presenza di un luogo sacro. In mezzo ai cipressi, "anche loro diretti verso Roma" [4] - come sostiene Riondino - e al volteggiare di farfalle colorate, tra cui il Macaone (la farfalla mangia-mosche) [4] , i pellegrini raggiungono l’antichissima Pieve di S. Maria a Chianni. L’attuale chiesa della fine del XII sec., pur se antica, non poteva essere quella che ospitò Sigerico nel 990-994, ma sicuramente la sua dimora era stata la precedente Pieve, sostituita dall’attuale nello stesso luogo, e indicata da Sigerico come sua XX submansio di Sce Maria Glan, posta tra San Gimignano (XIX - Sce Gemiane) e Pieve di Coiano (XXI - Sce Petre Currant). La cronaca serale viene tenuta a Gambassi Terme (m 332 slm), cittadina poco distante dalla Pieve di S. Maria a Chianni. Gambassi Terme è famosa per le Terme ma anche per l’invenzione e la costruzione del gambassino, il famoso bicchiere dalle larghe dimensioni - ideale per bere il vino Chianti locale - e diffuso in tutta Europa. Brunetta e Riondino raccontano ancora aneddoti e leggende locali, poi ringraziano le guide locali, le Misericordie che hanno protetto il loro cammino, l’archeologo Giovanni Corrieri che ha fornito molte notizie interessanti e Renzo Malanca con i membri della sua associazione: I Pellegrini della Via Francigena [1] , che hanno fatto da "guide" in tutte queste tappe e che cedono oggi il bordone di guida a nuove persone. In serata i due personaggi visitano il paese di San Vivaldo, poco distante da Gambassi Terme (verso ovest), dove è stata ricostruita una "Gerusalemme" con piazza e cappelle. La visita è stata resa possibile da un terziario francescano (un prete laico). Le cappelle contengono statue in terracotta che riproducono persone e scene della passione di Cristo. I personaggi sono in altezza naturale e hanno le facce molto espressive. Sono opere della "bottega" dei Della Robbia. Il cammino guidato dalla Associazione: Coop. Soc. TurismoNatura - ( 27 - 29 aprile 2005 ) Il 27/4 (mercoledì) Brunetta e Riondino ripartono da Gambassi Terme sotto la guida di Alessio Latini, presidente dell’Associazione: TurismoNatura [5] di Castelfiorentino (FI), grande conoscitore delle terre della Valdelsa e dei percorsi della Via Francigena in queste zone. Il gruppo scende tra le campagne sotto Gambassi Terme verso il paese di Luiano per poi dirigersi verso destra, cioè verso la collina di Montecarulli. In questa prima parte del cammino, si notano molti animali selvatici e Latini fa notare le tracce del cinghiale, dell’istrice e si scorgono una vipera e una lepre. In cielo si sono viste una poiana e un biancone; quest’ultimo fa venire alla mente di Brunetta e di Riondino antiche leggende locali legate a questo grande rapace che assomiglia, per il suo biancore, quasi ad un fantasma. Il verso ripetuto della ghiandaia fa dire a Riondino che questo uccello sta chiedendo ai pellegrini quale sia la loro meta. In salita, il gruppo raggiunge la piccola Cappella di Santo Pietro antico luogo di sosta dei pellegrini, ormai divenuta privata e recintata, che si trova sulla Via Francigena appena sotto il paese di Montecarulli. Tutta questa zona è piena di agriturismi e Latini ricorda che a Castelfiorentino nel 1300 c’erano 18 tra trattorie e locande, mentre oggi ce ne sono solo 4. Vicino a Santo Pietro, il gruppo si ferma un attimo ospitato da Mario e da sua moglie, che offrono ai presenti il Vin Santo e il caffé. Dopo questo gradito ristoro, il gruppo riprende il cammino lungo la strada bordeggiata dai cipressi, e Brunetta ricorda che nell’antichità venivano piantati 3 cipressi, uno vicino all’altro, in prossimità di luoghi sacri: il primo dedicato alla terra, il secondo al cielo e il terzo al sottoterra. Poi, nei secoli successivi, i contadini toscani hanno continuato a piantare i cipressi. Per la loro compostezza - sostiene Riondino. Dopo un altro breve tratto di cammino, il gruppo sosta al Santuario di Pàncole, dove nell’anno del Giubileo si può ottenere l’indulgenza plenaria. La strada e la Via Francigena passa proprio sotto il Santuario e affronta un divertente saliscendi sul crinale di colline densamente coltivate e con molti vigneti perfettamente ordinati in filari. Con una breve deviazione, salendo lungo una piccola strada sterrata, si giunge al borgo medioevale di Collemuccioli, dominato dalla sua alta torre e impreziosito dalla antichissima Pieve di Cèllole [6] . Alla Pieve, un anziano signore (un po’ duro d’orecchi - dice bonariamente Riondino) ha fatto da guida. All’interno della Pieve ci sono reperti longobardi: capitelli e alcune incisioni. Su alcuni capitelli sono incise delle faccine che riproducono i visi degli scultori, una specie di autoritratto ante litteram. Da queste alture collinari, si cominciano a vedere molto bene le torri della città di San Gimignano. Il gruppo scende dalla collina della Pieve di Cèllole e, superato un boschetto, si avvia tra filari di viti verso San Gimignano (m 324 slm - la submansio XIX <Sce Gemiane> di Sigerico), entrando in questa città storica attraverso la Porta di San Matteo. Qui si notano pochi pellegrini ma tantissimi turisti, che si inoltrano in ogni vicolo, armati di macchine fotografiche. Brunetta e Riondino fanno visita alla Casa del Podestà e alla sala di Dante, dove il poeta, in veste di ambasciatore, tentò di convincere il senato locale a passare dalla parte di Firenze senza riuscirci. Nella visita del Duomo, i due personaggi ammirano le pareti affrescate con le scene dell’antico e del nuovo Testamento e i molti quadri di artisti famosi. Un quadro del Ghirlandaio rappresenta Santa Sina, circondata da viole gialle, che è la vera patrona di San Gimignano. Brunetta ricorda che il più famoso San Geminiano è piuttosto il santo di Modena e dei modenesi che spesso vengono qui in pellegrinaggio. Nella Colleggiata, sono visibili le sculture in legno dell’Annunciazione di Jacopo della Guercia. A San Gimignano, al termine della Cronaca di questa giornata, Riondino declama uno dei 32 Sonetti di Folgòre da San Gimignano [7] e, entrando nel mese di maggio, egli sceglie il sonetto XIX "Di maggio".
Il 28/4 (giovedì) Brunetta e Riondino riprendono il cammino da San Gimignano, con Alessio Latini della Associazione: TurismoNatura [5] di Castelfiorentino. Si abbandonano le alte torri e si entra nella campagna ricca di boschi e di vallette, seguendo una antica selciata e poi una serie di sentieri. Si incontrano ancora tracce di animali selvatici: pinne di istrice, un mezzo uovo vuoto, piume di ghiandaia e una serpe che si è rapidamente nascosta in un buco del muro. Tutto ciò fa fare una serie di meditazioni a Riondino. Il gruppo supera un torrentello nella zona dei mulini e Riondino riesce a bagnarsi scivolando su alcuni sassi. Finalmente si raggiunge la Badia a Conèo [8] con la famosa Abbazia del IX sec., fondata da Lamberto vescovo di Firenze e consacrata nel 1123; poi passata di mano in mano tra vari abati. La Badia è famosa per il sovrapporsi di stili architettonici della sua struttura che presenta influenze italiche (come nel tiburio a forma ottagonale di ispirazione lombarda) ma anche borgognone (francesi) nelle colonne e semicolonne della facciata: indicazione sicura di passaggi di molti pellegrini stranieri e di maestranze che hanno collaborato alla costruzione e alle successive modificazioni della chiesa. Una sosta pranzo presso la Badia consente a Brunetta e a Riondino di conoscere antiche vicende legate alla Badia e ai religiosi che l’hanno gestita per secoli: con molte storie di liti e di riappacificazioni. Dopo la sosta ristoratrice e culturale, il gruppo riprende il cammino, entrando in un boschetto e seguendo un sentiero roccioso, un po’ disturbato dalla presenza di un folto gruppo di motociclisti con strane e grosse moto - "come trattori" dice Riondino. Si superano ancora piccole frazioni e si giunge al caratteristico borgo di Strove (un borgo di origine longobarda) e si transita sotto l’alta Torre che, per una 4° parte, appartenne alla contessa Ava [9] . In questo territorio, compreso tra il Montemaggio e la Val di Strove i nobili di Staggia avevano costituito, a partire del X secolo, un consistente dominio patrimoniale. L’Abbazia di Isola fu edificata in un’area impaludata posta all’incrocio dei quattro comitati di Firenze, Fiesole, Siena e Volterra in un tratto importante della Via Francigena, alla confluenza di collegamenti secondari per Firenze e Volterra. La nobildonna Ava [9] , rimasta vedova (di Ildebrando dei Lambardi) e ricca, fondò l’Abbadia a Isola con la famosa Abbazia [9] , luogo di sosta sicura per moltissimi pellegrini, in una zona da sempre paludosa e pericolosa, situata nelle vicinanze di Monteriggioni. La leggenda narra che quando Ava morì, si vide il suo corpo trasportato su un cavallo bianco, seguito da uno sciame di farfalle bianche. Questa leggenda e l’atmosfera medievale di tutta questa zona danno l’estro a Riondino per costruire un nuovo pezzo della sua poesia "oooh! Macaone" [10] . Finalmente i pellegrini raggiungono Abbadia a Isola [9] (m 200 slm) la Burgenove, submansio XVI di Sigerico. Qui sono accolti dal parroco e dall’Assessore che offrono ai pellegrini una gustosa merenda. Poi fanno visita all’Abbazia [9] , costruita nel 1001 e dedicata ai SS. Salvatore e Cirino. All’interno, si possono ammirare notevoli capolavori: dal polittico di Sano di Pietro, alla fonte battesimale di marmo alabastrino del 1419, fino alle statue in legno dell’Annunciazione contenute nella cappella a lato della Chiesa. La "Cronaca" odierna termina al castello di Castel Petraia, dove Riondino ricorda come i merli (ghibellini) venissero riempiti quando il castello, durante le lotte tra le due fazioni, veniva conquistato dai guelfi: era questo il segnale che il castello era nelle loro mani. Viene cantato, da tutti i presenti, il ritornello del Macaone mentre Riondino canta le nuove strofe [10] .
Il 29/4 (venerdì) Brunetta e Riondino riprendono il cammino da Abbadia a Isola, sempre accompagnati da Alessio Latini [5] . Si lascia il piccolo abitato e si scende verso il piano, per poi deviare verso destra lungo una sterrata di terra rossa che attraversa l’area della antica Palude del Canneto, fino a raggiungere i primi boschi sulle pendici di Montemaggio. Si notano subito un paio di daini che si inoltrano nella macchia. Il bosco è fitto e il sentiero in alcune zone non è ben segnalato e in altre invece si incontrano diversi sentieri con molte segnalazioni, per cui è facile perdersi. Brunetta è rimasta in fondo al gruppo, chiacchierando piacevolmente con un signore sulla struttura delle rocce e del terreno e, in breve, entrambi hanno perso di vista il resto dei pellegrini e le loro tracce. In lontananza, una signora - la moglie del signore a colloquio con Brunetta - si è messa a gridare di andare a sinistra nel punto da dove stava gridando. Arrivati in quel punto e girato a sinistra, i due hanno seguito un sentiero che poi si è rivelato sbagliato e Brunetta si è persa con l’altro signore. Accortisi del mancato arrivo dei due, tutto il gruppo si ferma e molte persone iniziano la loro ricerca. Questa dura circa una mezz’ora fino a scoprire i due, che si trovano a pochissima distanza, anche se non visibili fino all’ultimo a causa del fitto bosco. Felicemente sollevato, il gruppo riunito riprende il cammino, mentre Riondino chiede scherzando a Brunetta se lei avesse avuto delle visioni o una sensazione di trovarsi in un labirinto. Lei risponde di non aver avuto molti problemi e che piuttosto, trovandosi nel fitto bosco e avendo da poco superato la Valdelsa, gli era tornata in mente la leggenda di Elsa. La bella giovane Elsa, figlia di una famiglia facoltosa, si era innamorata di un giovane povero. Il padre di lei, venutolo a sapere, costrinse il ragazzo a battersi in duello con il più forte tra i suoi cavalieri, e il ragazzo venne ucciso. La fanciulla, distrutta dal dolore, si fece eremita e nel rifugio segreto continuò a piangere così forte e così a lungo che dalle sue lacrime si formò il fiume Elsa. Mentre si salgono le pendici del Montemaggio ai bordi del bosco, sulla sinistra sono ben visibili le torri e le mura circolari di Monteriggioni, proprio giù nella piana dove transita la superstrada Firenze-Siena. Le dimensioni delle mura e delle 14 torri e il grande numero di armati al suo interno dovevano aver colpito anche Dante se, nel Canto XXXI dell’Inferno (nella Bolgia dei Giganti), si sentì di scrivere:
<... però che come in su la cerchia tonda Montereggion di torri si corona, così ’n la proda che ’l pozzo circonda
torreggiavan di mezza la persona li orribili giganti, cui minaccia Giove del cielo ancora quando tona... >
Brunetta ricorda che all’interno delle mura, dopo la costruzione di questa fortezza (avvenuta tra il 1213 e il 1219), non vengono innalzate costruzioni nè chiese ma solo tende per i soldati. Solo molti secoli più tardi, sono costruiti i monumenti e le abitazioni che in parte si possono vedere ancora oggi. Durante le guerre tra Firenze e Siena, dopo la conquista di Monteriggioni da parte dei Fiorentini, le torri e una parte delle mura vengono abbattute e solo molto recentemente sono state ricostruite seguendo, in qualche modo, le linee originali. Nella parte più alta di questa zona boscosa, si raggiunge l’area conosciuta come "Il Mandorlo", dove c’era una antica taverna. Ci sono ancora alcune locande, ma oggi viene soprattutto notato un nuovo allevamento di cavalli e, tra le strutture di servizio, cè anche una pista simile alla Piazza del Campo di Siena che serve per effettuare un allenamento per quel tipo di corsa. Guardando il terreno, durante una breve sosta al Mandorlo, Riondino fa notare la presenza di terra rossa - "persino i formicai sono colorati di rosso vivo..." - dice l’attore. Brunetta ricorda di aver visto molti quadri locali dove il colore di fondo e del terreno è il rosso, mentre il colore grigio della pietra è quello prevalente dei muri delle case, poiché ancora non si usava intonacarle. Ricordando la perdita del giusto sentiero di Brunetta nel fitto bosco di poco prima, Riondino menziona il fatto che San Bernardino sconsigliava le giovani fanciulle senesi di mettersi in viaggio per la Terrasanta o per Compostella per gli eccessivi pericoli che avrebbero corso. Così, dice che:
... non aveva tutti i torti il sig San Bernardino a dir che la pellegrina si perde col pellegrino ...
Sull’altro lato del ciglio boscoso, il sentiero scende in direzione del Piano del Lago (enorme prateria sotto le pendici del Montemaggio), ma compie ancora qualche saliscendi, passando vicino ad alcune fattorie, fino ad affrontare un’ultima salitella verso la frazione della Cerbaia che anticipa l’arrivo al Castello della Chiocciola. Il castello ha questo nome poichè nell’alta torre normanna c’è una scala a chiocciola (cioè a spirale) che presenta gradini sempre più piccoli man mano che si sale. Sembra (ma non è sicuro) che dal nome del castello sia derivato quello dell’omonima contrada di Siena. Dopo le foto di rito, davanti al castello, il gruppo prosegue il cammino passando davanti alla torre quadrata della Villa, altro maniero vicino al Castello della Chiocciola. Riondino ricorda che tutti questi castelli, divenuti oggi lussuose ville private, furono un tempo edifici militari, basi di difesa e di attacco di molte famiglie toscane in guerra tra di loro. Il gruppo entra finalmente a Siena (m 322 slm), dopo un ulteriore cammino nella piana e sulle colline a nord di questa città. Si entra in questa storica città (la <Seocine> submansio XV di Sigerico) per la Porta Camollìa (dove c’era la Magione dei Templari ), proprio sulla direttrice verso nord lungo la quale camminò Sigerico nel suo ritorno a casa a Canterbury. Sulla faccia dell’arco di Porta Camollìa rivolta all’esterno della città, c’è questa scritta in latino: "Cor Magis Tibi Sena Pandit" ("Siena ti apre il suo cuore più di questa porta"). La dedica era stata voluta in onore di Ferdinando I de’ Medici, ma oggi essa è diventata simbolo dell’ospitalità senese. La leggenda dice che il nome di Siena derivi da Seno (uno dei figli di Remo e nipote di Romolo) che, alla morte del padre, scappò da Roma con il fratello Aschio, uno su un cavallo bianco e l’altro su un cavallo nero (il bianco e il nero sono i due colori di Siena), per rifugiarsi tra queste colline. Con l’aiuto di alcuni pastori locali i due fratelli, dopo aver fatto un sacrificio a Diana, fondarono la città, con una prima fortificazione nella zona conosciuta oggi come Castelvecchio nel Terzo di Città. La lupa è il simbolo di Roma ma è anche quello di Siena. La lupa di Roma guarda da un lato, mentre quella di Siena ha la testa e lo sguardo diritto. Attorno al 1300, gli abitanti di Siena erano circa 47.000, mentre oggi sono circa 55.000 . Per l’epoca era un numero enorme e ciò spiega il fatto che Siena era una città forte, ricca e dotata di un esercito possente e si possono capire quindi le tragiche vicende dei suoi lunghi conflitti con le altre città potenti del tempo. Il gruppo di pellegrini attraversa tutta la città, seguendo vicoli e stradine e sbuca sulla Piazza del Duomo [11] . Qui, fa visita allo Spedale di Santa Maria della Scala, funzionante come tale dall’anno 1000 fino al 2001. Ora lo Spedale, opportunamente restaurato, è divenuto un Museo e il gruppo visita le sale più importanti tra cui il Pellegrinaio con i suoi pregevoli affreschi quattrocenteschi di Domenico Di Bartolo (del 1440-1441). Questi affreschi rappresentano scene legate alla vita dello Spedale e uno di questi illustra le cure riservate ai feriti e ai moribondi, mentre un altro presenta la vita dei Gettatelli, cioè dei bambini orfani lasciati (gettati) alle cure dell’organizzazione ospedaliera. I bambini venivano accolti, curati, allevati da balie e, una volta cresciuti, ai ragazzi veniva trovato un lavoro e alle fanciulle veniva predisposta una dote per poterle fare sposare anche dai nobili, poichè essendo state allevate dalla nobile Comunità senese, esse stesse erano considerate nobili. Brunetta va in visita al Duomo di Siena [11] e spiega che è stato come aver fatto un percorso mentale ammirando e seguendo con gli occhi e con la mente i rilievi e gli intagli sul pavimento, procedendo verso la parte alta della chiesa, cioè verso l’altare centrale con la Maestà. All’ingresso della chiesa, sul pavimento, sono raffigurati i filosofi dell’antichità (Socrate, Aristotele, ecc..), le sibille e altri saggi e, mentre si procede verso l’interno della chiesa e verso l’altare maggiore, questi cedono il posto ai santi cristiani fino al grande quadro della Madonna (la Maestà di Siena). Tutto questo stupendo pavimento intarsiato di marmi multicolori, unico al mondo, vuole rappresentare con questa progressione di immagini: "... che tutto il sapere laico -antico e moderno- confluisce e va verso la religione e la sapienza cristiana...". Una espressione figurata del concetto di antirelativismo, come si direbbe ora, - spiega Riondino. Brunetta ricorda che ha fatto una corsa per vedere il quadro della Maestà di Duccio di Buoninsegna, oggi custodito presso il Museo dell’Opera Metropolitana del Duomo, e per vedere gli affreschi di Ambrogio Lorenzetti (allievo di Duccio), nella Sala della Pace all’interno del Palazzo Pubblico di Siena, in particolare quello relativo agli Effetti del buon governo in città e in campagna. In quest’ultimo affresco, così pieno di armonia, di visioni di genti al lavoro e in cammino nelle campagne e attraverso le città, Brunetta sostiene di aver riconosciuto tratti della Via Francigena e alcuni pellegrini in cammino. Al termine della Cronaca di questa lunga e interessante giornata di cammino, viene dato l’appuntamento per la camminata di domani e viene salutato e ringraziato Alessio Latini [5] che termina qui a Siena il suo compito di guida, cedendolo a nuove persone. Il cammino guidato dalla Associazione: Giovane Montagna - Sez. di Roma ( 30 aprile - 14 maggio 2005 ) Il 30/4 (sabato) Brunetta e Riondino ripartono da Siena sotto la guida di Giuliano Borgianelli Spina e di Pietro Paolo Bindi, nuove guide appartenenti alla Associazione: Giovane Montagna (G.M.) - sez. di Roma ( "Gruppo Francigena" ) [12] . Nella sua Cronaca serale tenuta, sotto un cipresso e un leccio, alla Pieve di Santa Innocenza alla Piana (vicino a Buonconvento), Brunetta dice di aver attraversato Siena in mattinata, da Piazza del Campo fino a Porta Romana, passando in mezzo ad una folla festante. Oggi infatti la città è in festa, poichè è la Festa di Santa Caterina e ci sono fiori e stendardi ovunque. Siena è anche devota alla Madonna, e una guida ricorda che nel 1944, nel periodo più brutto della II° guerra mondiale, le personalità e gli amministratori locali, alla presenza di un notaio, cedettero "ufficialmente" la città alla Madonna, per ottenere la sua protezione dalle bombe. E, in effetti, durante l’ultima guerra, cadde una sola bomba - "proprio sopra la nostra testa" - racconta una guida - "ma fummo fortunati poichè eravamo in un ricovero sotterraneo sotto possenti volte del 1300 che ressero molto bene, ci salvammo tutti e la bomba non fece gravi danni ". Attraversata la città, il gruppo si incammina verso sud oltrepassando l’imponente Porta Romana e procede verso le colline nel territorio delle Crete Senesi, tipiche per il loro terreno di color ocra. Si cammina su strade sterrate lungo i crinali fino a raggiungere, tra la Tressa e l’Arbia, il Colle di Malamerenda a cui è legata una storia, forse leggendaria. Si racconta infatti che 36 esponenti delle ricche e potenti famiglie senesi rivali dei Salimbeni e dei Tolomei si trovassero in queste zone, 18 di un casato e 18 dell’altro, per escursioni e per piacere nel giorno di Pasqua in una radiosa primavera del 1300, e qui decisero di sostare per fare merenda. Ogni esponente dei Salimbeni si pose a tavola vicino ad uno dei Tolomei, mentre veniva servito, tra le altre leccornie, anche un vassoio con 18 tordi arrosto, selvaggina rara per quella stagione. Si stabilì allora che il primo che fosse riuscito ad "arranfiare con l’imboccatoio (cioè con la forchetta) il tordo", questo sarebbe stato tutto suo senza bisogno di dividerlo con il vicino. Mentre si dava inizio alla gara, uno dei Salimbeni si alzò e gridò: "... ad ognuno il suo ..." e questo fu il segnale. Ogni esponente della famiglia dei Salimbeni prese lo spiedino e sgozzò il vicino commensale della famiglia dei Tolomei, mentre quest’ultimo si stava lanciando ad afferrare il tordo. Da questo atroce fatto, la zona prese il nome di Malamerenda. Nel 1500, 200 anni dopo la leggendaria strage, fu posta una lapide sotto una scala nel chiostro di San Francesco a Siena, con incisa una scritta latina che dice: "Qui è il sepolcreto ove giacciono 18 dei Tolomei". E sono ancora visibili, anche se consunti, i 18 stemmi di questa casata. Tutto ciò servì a far perdurare questa storia e la leggenda in queste contrade. Proseguendo il cammino, si raggiunge un gruppo di case tra cui spicca la Grancia di Cuna. Questa costruzione fortificata e a 3 piani apparteneva alla Istituzione indipendente di Santa Maria della Scala di Siena, faceva parte di una estesa rete di aziende agricole disseminate nel territorio senese, e serviva per la raccolta e la conservazione di cereali e di derrate alimentari per le necessità dello Spedale e della stessa città di Siena, per affrontare non solo i bisogni quotidiani ma anche quelli eccezionali nei casi di guerra e di carestia. Questa "grancia" (con questo nome si chiamavano le case rurali fortificate e protette con una guarnigione di armati), non ha scale al suo interno ma solo rampe che raggiungono i vari piani per permettere la salita ai muli carichi di sacchi di derrate, le quali venivano poi stipate nelle varie stanze del magazzino. A fianco della torre d’ingresso della grancia, c’è una piccola chiesetta dedicata a San Jacopo, spesso visitata dai pellegrini spagnoli in transito. Riondino ricorda che all’interno della chiesetta ci sono ancora alcune formelle in ceramica colorata che ricordano i miracoli del santo, e racconta uno di questi. Proseguendo il cammino verso sud sempre seguendo crinali di colline, si superano alcune frazioni (Quinciano e altre...) e, verso sud-ovest (sulla destra), si vedono le torri di Murlo, altra cittadina meta di transito di pellegrini. Viene ricordato che Murlo è di origine longobarda così come il suo nome che deriva da: "Mur (muro) e lo (lontano)", per indicare una città distante dalle strade più battute e situata nelle vicinanze di fitti boschi impenetrabili. Camminando su e giù per le colline si vede a tratti, verso est (a sinistra), il fiume Arbia quello completamente colorato di rosso dopo la battaglia di Montaperti del 4 settembre 1260 come ricorda Dante nel X Canto dell’Inferno (v.85), rispondendo a Farinata degli Uberti (fuoriuscito ghibellino fiorentino), uno dei capi presenti nelle fila senesi nella battaglia contro i fiorentini:
"... Ond’io a lui: <Lo strazio e ’l grande scempio che fece l’Arbia colorata in rosso, tali orazion fa far nel nostro tempio> ..."
Riondino ricorda un’altra leggenda di un certo pittore fiorentino Coppo da Francobaldo, anche lui presente alla battaglia di Montaperti che si salvò la vita da sicura morte gridando: ... Io son pittore .... Allora sembra che i senesi lo risparmiassero ordinandogli di dipingere un grande quadro della Madonna da portare a Siena come ringraziamento dell’aiuto avuto in battaglia. Il lungo cammino attraverso le Crete Senesi si conclude alla Pieve di Santa Innocenza alla Piana (m 147 slm), un’antica Pieve in aperta campagna, a pochi km da Buonconvento, già luogo di sosta di papi e di imperatori e di transito di Sigerico. L’arrivo del gruppo di pellegrini alla Pieve è festeggiato con il suono a festa delle campane. La visita alla Pieve, anche se, al momento, è in restauro, risulta di grande interesse per la grande storia che è passata di qui. Storia gioiosa e triste, di periodi di pace e di tempi di guerra, che ha impregnato le stanze e le mura di questo antico asilo. Un’altra leggenda racconta che qui, Arrigo VI di Lussemburgo in transito col suo esercito, visto (anche da Dante) come grande speranza per il ripristino di un potere imperiale centrale che calmasse il furore delle molte fazioni in guerra tra loro, venne avvelenato dai frati di Buonconvento il 24 agosto 1313. Si dice che i suoi soldati, interrotta sul nascere una probabile campagna militare in Italia, misero il corpo in una botte colma di aceto (per ritardarne la corruzione) e riportarono il loro re in Lussemburgo. Questa leggenda è talmente radicata che, ancor oggi, si dice di Buonconvento: "buono il Convento, cattivi i Frati ! ". Per Brunetta e Riondino è ormai tempo di bilanci e si domandano reciprocamente ciò che resta di questo viaggio. Brunetta dice di sentirsi tonica anche se un po’ ingrassata e di aver visto molte pievi e molti animali (un antico granchio e le balene del pleistocene, poiane, daini, ecc..), i cipressi che sono arrivati fin qui con loro e un mare di verde, come il fondo di un mare. Conclude dicendo che è stato come camminare tra le nuvole e che ha sentito suonare la campana dell’anima. Riondino sostiene che questo viaggio non è solo un cammino di pellegrini ma un procedere dentro la Storia, in una terra toscana che è stata un angolo di mondo ricco di sconvolgimenti geopolitici, di lotte di fazioni, di interessi dell’impero, del papato e di speranze per le libertà comunali. Una terra di conflitti locali, come quello tra San Miniato e Empoli, ma anche di collegamenti economici e culturali con il resto d’Europa, in particolare tra il 1000 e il 1300. E la Via Francigena ne è una testimonianza. - "E’ stato un viaggio bellissimo.." - dice Riondino e consiglia tutti di camminare sulla Via. Egli ricorda che negli appunti di Simone Martini si può leggere che dopo un viaggio: " l’essere, è ", e il cammino è un viaggio verso la luce, è un riscatto. Brunetta e Riondino, nel commiato finale (fatto anche declamando un’ultima ballata [13] ), salutano la troupe RAI e le guide Alessio Latini, Paolo Bindi e Giuliano Borgianelli e ricordano che domani saranno in cammino Gigi Riva e Stefania Scateni. |