PELLEGRINO A PIEDI DA ISOLA DELLA SCALA (VR) A ROMA
Che cosa mi abbia spinto a mettermi in cammino sulle orme degli antichi pellegrini romei, percorrendo oltre seicento chilometri, zaino
in spalla, per raggiungere a piedi il sepolcro di S. Pietro, non è facile a dirsi. Le motivazioni che hanno sorretto la mia
decisione sono tante: una forte attrazione verso la figura del pellegrino come di colui che si mette in cammino fidando esclusivamente nelle
proprie forze e nellaiuto della Provvidenza, senza lausilio di mezzi che renderebbero più agevole il percorso, ma anche meno
personale la conquista; una naturale simpatia che ho sempre nutrito per la figura del viandante, colui che va scoprendo il mondo giungendo
ogni sera in un luogo diverso, tra gente diversa, tra culture diverse, appagando in tal modo la naturale sete di conoscenza delluomo,
che non si acquieta solo attraverso i libri, ma anche e soprattutto per mezzo del contatto vivo, quotidiano, sofferto, con i propri simili.
Il viandante, come il pellegrino, è colui che cerca, che non si accontenta di ciò che già possiede, ma aspira ad ampliare i
propri orizzonti in una dimensione anche concreta, materiale, attraverso la quale realizzare lincontro spirituale con la natura, con gli
uomini e, per il pellegrino, soprattutto con Dio. Nello stesso tempo, vive nella propria carne lesperienza della rinuncia: al
riposo, poichè ogni mattina deve mettersi in cammino; agli affetti, poichè ogni sera sarà la prima, ma anche lultima che
trascorrerà con le persone eventualmente conosciute, ma soprattutto perchè ogni sera il cuore si strugge al pensiero della famiglia
lontana. Lo aspetta, in definitiva, la solitudine come condizione abituale.
Ho scelto dunque anchio di compiere il rituale pellegrinaggio giubilare in una forma per me più autentica rispetto ai moderni
pellegrinaggi in pullman o in treno, una forma che rispecchiasse più fedelmente il significato originario di questa pratica così
antica e così ricca di tradizione. Percorrendo gli stessi passi dei pellegrini medievali, contemplando i medesimi paesaggi,
visitando sovente le stesse chiese disseminate lungo il cammino ho rivissuto le loro gioie e le loro preoccupazioni, ho provato le loro emozioni,
immedesimandomi nella loro condizione.
La via che ho seguito ha coinciso in parte con le vie che fin dallantichità i pellegrini, ma anche i mercanti e i viaggiatori in
genere, percorrevano per raggiungere la città eterna. Dopo aver attraversato la pianura seguendo come direttrice la statale che
attraversa Isola della Scala (ma preferendo spesso deviare su strade secondarie pił tranquille), varcato lAppennino ho imboccato, tra le
province di Pistoia e Lucca, la ormai celebre "Via Francigena", così chiamata perchè nasceva in terra di Francia.
Purtroppo oggi questa via coincide per lo più con le grandi arterie stradali percorse dal traffico automobilistico, ma in alcuni tratti
di grande suggestione è possibile ripercorrere lautentica Francigena, talvolta proprio sul selciato originale; è in questi tratti
che limmedesimazione con il passato si fa particolarmente intensa.
Vivendo ogni giorno questa esperienza così lontana dalle occupazioni ordinarie, ho potuto cogliere uninfinità di aspetti che ne
hanno arricchito il significato principale: la riscoperta della natura, ad esempio, vissuta non più "turisticamente" come un quadro o una
fotografia da contemplare dai finestrini dellautomobile attraversandola velocemente, ma sentita nella sua fisicità talvolta anche ostile,
come il sole che picchia senza tregua per ore, la pioggia temuta come un nemico sempre in agguato, o al contrario la gioia pura e quasi primordiale
di scorgere finalmente una fontanella ai lati della strada, o di godere dellombra dellunico albero nel raggio di chilometri.
Questo continuo alternarsi di fatica e di sollievo, talvolta anche di abbattimento seguito poi immancabilmente dalla gioia della meta raggiunta
ogni sera, mi ha accompagnato lungo lintero cammino. Certo, non tutti i giorni sono stati uguali. Non sono mancati i
momenti di vero scoramento, in cui, sia pure per un attimo, arrivava il fatidico "ma chi me lha fatto fare!"
Anche nella vita di tutti i giorni, della quale, come si è detto tante volte, il pellegrinaggio è metafora, non si contano i momenti di
sconforto, gli ostacoli che si vorrebbero evitare, i sentieri aspri e irti di pericoli. E così è stato per me.
Ho percorso strade ampie, spaziose, sotto cieli limpidi e paesaggi da favola. Ma ho affrontato anche sentieri malagevoli, ripide mulattiere,
viottoli nascosti dallerba alta e quasi impraticabili. Ho camminato per ore avvolto dallombra fonda di boschi fitti, ma ho
incontrato anche, come ho già detto, lunghi tratti senza un solo albero. Alla fine, però, la gioia dellarrivo ripagava di
tutte le fatiche.
Dovrei ora dire qualche parola sullospitalità incontrata. Anche in questo caso lesperienza concreta ha corretto e talora
modificato radicalmente alcune mie aspettative. Mi sono rivolto in genere a parrocchie o a strutture parrocchiali, a conventi, a centri di
accoglienza di natura ecclesiale o gestiti da laici; non sono mancate le soluzioni "comode" (alberghi e simili), dato che non sempre tali strutture
erano presenti o, in qualche caso, laccoglienza riservata era a dir poco spartana. Rifiuti netti non ne ho avuti, anche se non sempre
laccoglienza ricevuta è stata degna di questo nome. Ho incontrato però anche chi mi ha chiesto espressamente una preghiera,
una volta giunto a Roma, perchè Dio non cessi di mandare pellegrini da accogliere!
Sono partito solo, un po per scelta e un po perchè non sapevo a chi chiedere di condividere con me una simile esperienza.
Lungo la strada ho incontrato altri pellegrini, non molti, con i quali ho potuto condividere parte del cammino. In particolare
voglio qui ricordare una famiglia di Padova che viaggiava, a piedi, con due bambini, uno di nove e laltro di tre anni, aiutandosi con una carrozzina
a tre ruote su cui era sistemato il bambino piccolo e parte del bagaglio. Ci incontravamo talvolta la sera e poi ci perdevamo di vista, per
rincontrarci magari qualche giorno dopo. Lui aveva fatto anche il cammino di Santiago de Compostela, in Spagna, partendo da Padova.
Unaltra figura che ricordo volentieri è quella di un bergamasco che viaggiava con un mulo, e che ho ritrovato a piazza S. Pietro
il giorno dellarrivo.
Desidero infine ricordare una persona con la quale ho condiviso il cammino degli ultimi due giorni, un milanese che veniva nientemeno che da Canterbury,
in Inghilterra. Aveva fatto più di milleottocento chilometri ripercorrendo il tragitto che un arcivescovo di nome Sigerico aveva compiuto
nellanno 990, lasciandoci un prezioso diario di viaggio.
Questi sono stati i miei occasionali compagni di viaggio, o meglio di alcuni momenti del lungo viaggio durato ventotto giorni, dal 30 giugno al 27 luglio,
quando, poco dopo le dieci di mattina, la cupola michelangiolesca mi è apparsa in tutta la sua maestà dalle alture di Monte Mario, che gli antichi
pellegrini chiamavano Mons Gaudii, a sottolineare appunto la gioia che provavano quando, dopo tante sofferenze, scorgevano da lontano la basilica di S. Pietro.
E anche per me quello è stato un momento carico di emozione, nel quale più che in altri mi sono identificato con la schiera dei miei predecessori
che, in condizioni ben più precarie, giungevano dopo tanto tempo e tante tribolazioni alla meta agognata.
Larrivo in piazza S. Pietro, la visita alla basilica, seguita poi dalla visita alle altre basiliche cosiddette patriarcali, il timbro della sacrestia
vaticana sulla credenziale (un documento che ogni pellegrino custodisce gelosamente, sul quale vengono apposti ogni giorno i timbri che testimoniano del passaggio)
e, quale coronamento, il privilegio che ho avuto di poter assistere ad unudienza del Santo Padre, hanno quindi segnato definitivamente la conclusione di
questo meraviglioso capitolo della mia vita.
Firmato: Filippo Bonfante (da Verona)
Data autor.: lunedi 7 agosto 2000, ore 12.17
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